Il Gruffalò “...e chi sarà mai?” “Ma come, davvero tu non lo sai? Ha zanne tremende, artigli affilati, e denti da mostro di bava bagnati.” Suonano pressappoco così le parole in rima che nella traduzione italiana del testo di Julia Donaldson riproducono l’effetto sonoro della sua bellissima storia, Il Gruffalò, appunto, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1999 e presto divenuto un best seller della letteratura per l’infanzia con milioni di copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in oltre cinquanta lingue. Già allora nel suo primo album illustrato intitolato A spasso col mostro compariva quello strano animale con gli “occhi arancioni, la lingua molliccia, e aculei violacei sulla pelliccia”, una specie di incrocio tra un orso e un bufalo.
Fu quello il debutto del Gruffalò: in seguito la sua diffusione sarebbe stata tale da meritarsi finalmente nel 2009, al compimento del suo decimo anno di vita, un film d’animazione guardato da circa 9.8 milioni di persone nella sola anteprima trasmessa dalla BBC One il giorno di Natale. Al primo episodio de Il Gruffalò con la regia di Jakob Schuh e Max Lang, e le voci originali di Helena Bonham Carter, Rob Brydon, Robbie Coltrane, John Hurt and Tom Wilkinson, sarebbe seguito poi nel 2011 un altro cortometraggio d’animazione, sempre con la durata di 27’, intitolato Gruffalò e la sua piccolina, e dedicato alla progenie del mostro (con la regia di Johannes Weiland e Uwe Heidschötter).
Entrambi i film sono girati con la tecnica della stop motion o passo uno, la stessa usata per Galline in fuga, Coraline, The Nightmare Before Christmas, caratterizzata dalla scelta di sfruttare una particolare cinepresa, che azionata dall'operatore, impressiona solo un fotogramma alla volta. Questo significa che per ottenere una ripresa che risulti fluida per lo spettatore, sono necessarie molte, moltissime pose, qualcosa come 24 fotogrammi al secondo per l'immagine cinematografica, 25 per quella televisiva europea (PAL), e 29,97 al secondo per la Tv americana (NTSC). Largamente utilizzata per la realizzazione degli effetti speciali nel cinema, la tecnica della stop motion da Jurassic Park (1993) in poi fu poi quasi completamente sostituita dalla grafica computerizzata.
Forse proprio per questo ne apprezziamo maggiormente qui l’impatto dal sapore genuino e quasi “handmade”, che ben si sposa al tipo di storia raccontata dal libro. Quella de Il Gruffalò è infatti una favola che potremo definire pienamente esopica in virtù del suo rispettare il canone classico del genere: ospita come protagonisti degli animali umanizzati e parlanti, dà una rappresentazione allegorica della natura umana, con i suoi vizi (soprattutto) e le sue virtù, i luoghi in essa descritti fanno da cornice al racconto; ha una morale chiaramente comprensibile. Il suo scopo principale infine, attraverso l’ironia, è la denuncia di ingiustizie sociali, o la critica dei vizi. E così il protagonista della storia è un furbo topolino che per difendersi dagli attacchi dei predatori presenti nella foresta fitta e scura inventa l’esistenza di un mostro, il Gruffalò appunto, suo amico...che ha per pietanza preferita di volta in volta una volpe, un gufo e un serpente (i predatori di cui il topo vuole liberarsi). In realtà, il topolino scoprirà presto che la terribile creatura da lui immaginata esiste per davvero...e diventerà il migliore alleato della sua sicurezza, grazie alla innegabile scaltrezza del sorcio.
La storia di base contiene senza dubbio una critica feroce della recondita paura del diverso. E la morale di cui si fa portavoce ci insegna che non sempre ciò che appare come più “mostruoso”, lo sia poi realmente (basta soffermarsi sulla dolcezza con cui il Gruffalò si relaziona alla sua piccolina nel secondo episodio dei due). Ed è valido anche il viceversa, ossia l’apparentemente indifeso e piccolo topolino risulta infine non solo il più furbo, ma in qualche modo anche il più “spietato” della storia, approfittando della paura altrui per mettersi al sicuro. Così Il Gruffalò è un racconto che funziona, e allo stesso modo funziona la sua trasposizione cinematografica, sia grazie alla bellezza dei disegni che devono molto alle illustrazioni originarie di Axel Scheffler cui si mantengono fedeli, sia grazie alla tecnica di animazione che gli dà vita facendole muovere lentamente e a passo uno nei meandri della foresta fitta e scura.
Lo Studio Soi dunque attraverso la scelta di un uso combinato di animazione digitale e stop-motion mette in atto una vincente esplorazione delle potenzialità visive dell’opera, non tralasciando nemmeno uno studio realistico della natura attraverso una riproduzione fedele del tappeto di foglie secche nel bosco, dei riflessi luccicanti del ghiaccio sulla neve, o del rapido scorrere dei corsi d’acqua. L’operazione è talmente ben riuscita che i due film d’animazione hanno ottenuto diversi premi e nomination in alcune delle più note competizioni del genere (Il Gruffalò fu candidato agli Oscar nel 2011 come miglior cortometraggio d’animazione, e vincitore di Annecy nel 2010). Ed è per questo che ne consigliamo a tutti la visione. Grandi e piccini.