“Everyone wants to be Cary Grant. Even I want to be Cary Grant” ("Tutti vorrebbero essere Cary Grant. Anche io vorrei essere Cary Grant"). Sotto la leggerezza e l’ironia di questa battuta, che Cary Grant pronunciava spesso - probabilmente suscitando risa e ammirazione negli astanti - si nasconde in realtà tutta la pesantezza del male di vivere di quello che il critico David Thompson definisce il “migliore e più importante attore della storia del cinema”.

Con il film biografico Becoming Cary Grant, presentato quest’anno in anteprima al Festival di Cannes e ora riproposto al Festival del Cinema ritrovato, il regista Mark Kidel sceglie una chiave di lettura psicologica per raccontarci la vita di Archibald Alexander Leach. Nato a Bristol il 18 gennaio 1904, Archie perde il fratellino in seguito ad un incidente domestico. La madre si addossa la colpa dell’accaduto e non riesce a superare il trauma della morte del bambino, tanto che sparisce di casa quando Archie ha solo 10 anni. Mentre il padre si risposa e ha un figlio dalla nuova moglie, Archie ad appena 14 anni si aggrega al gruppo circense di Bob Pender.

Entra così in una grande e variopinta famiglia con cui poco dopo parte per l’America come acrobata ed attore. Ma quando la compagnia di funamboli ritorna in Inghilterra lui decide di rimanere a New York. Questa decisione gli aprirà la strada verso una sfolgorante carriera cinematografica: nel 1932 cambia nome e diventa Cary Grant, il grande divo del cinema americano. Ma il passato da cui è scappato, lo perseguita, nel pieno della sua fama attoriale torna in visita a Bristol dove scopre che la madre non è fuggita ma è stata internata in manicomio per sindrome maniacale (su sola testimonianza del marito). Il figlio fa uscire la madre dal manicomio e la trasferisce in una lussuosa residenza. Dall’America dove lavora la andrà a trovare spesso, per toccare con mano quell’affetto che sembra esistere solo nello scambio epistolare fra i due.

La scelta precisa di Mark Kidel, che ha presentato personalmente il suo film al Cinema Ritrovato, è stata proprio quella di ricostruire il ritratto di Cary Grant tentando di togliere al famoso attore quella maschera che lui stesso ammetteva di indossare, e da cui nulla entrava e nulla usciva. E questo gesto simbolico, Kidel lo concretizza con un’immagine che replica più volte nel film, ripresa probabilmente dallo stesso Cary Grant in un filmato amatoriale: una musa femminile che gioca con una maschera di cartapesta dai tratti inquietanti e paurosi che le copre il volto. Solo negli ultimi fotogrammi Kidel inquadra la donna sorridente mentre si toglie la maschera. Una sorta di dramma pirandelliano dunque, ci suggerisce il regista, in cui l’attore si confonde con il personaggio, smarrendo un’identità forse mai costruita.

Dopo una brillante carriera come attore di sophisticated comedy, il primo a intuire e ad utilizzare il lato oscuro di Cary Grant è Alfred Hitchcock (anche se Howard Hawks aveva già intravisto nell’attore una certa insicurezza). Entrambi provenienti dall’Inghilterra, entrambi cresciuti in quartieri popolari, si capiscono al volo e, come dichiara lo stesso Grant, tra loro non c’è bisogno di parole. Così come l’intesa è perfetta, dentro e fuori dal set, con l’incantevole Grace Kelly.

L’evidente ed indiscutibile fascino di Cary Grant, che piace sia al pubblico femminile che a quello maschile, lo conduce sulle strade di una vita sentimentale tumultuosa: si sposa ben 5 volte e per lungo tempo rimane convinto che le sue relazioni con le donne non funzionino perché inconsciamente in loro rivede la madre che vuole punire per averlo abbandonato. Solo verso la mezza età decide di affidarsi per tre anni ad una cura a base di Lsd in dosi molto forti (durante la presentazione Kidel ha raccontato che questo dettaglio ha lasciato stupito persino Mick Jagger). Ma nell’America degli anni ‘50 la sostanza rientrava tra i trattamenti farmacologici sperimentali autorizzati dal governo e da questa terapia, somministrata sotto il controllo di un medico, Grant esce comunque pacificato, come testimonia in interviste e biografie: riesce finalmente a rielaborare il passato e ad entrare in contatto con i suoi personali demoni, riconosce la parte di odio e amore che convivono nella sua persona e inizia a perdonarsi.

Lo scioglimento di questo nodo psicologico diventa per Kidel anche il nodo narrativo attorno al quale costruisce Becoming Cary Grant, mescolando in modo psichedelico nitidi spezzoni in bianco e nero dei film più famosi dell’attore a filmini amatoriali giallastri e dalla grana sfuocata, girati in famiglia e dallo stesso attore. Emergono così agli occhi dello spettatore l’innata eleganza e il sorriso ammaliante dell’attore ma anche sguardi con lampi di tristezza, le sue capriole in scena (probabilmente un omaggio nostalgico ai tempi circensi), le riprese delle donne che ha amato e dei viaggi che ha fatto con loro in mare. Quel mare che lambisce Bristol, che lui stesso ha percorso per fuggire dall’Inghilterra verso l’America. Quel mare che insieme alla sua casa - in un perenne binomio di apertura e riservatezza – ora custodisce le sue ceneri.