Un tipografo e sua sorella vivono le rispettive vicende romantiche a Teheran, sono gli anni '50. Lui difende una donna povera dai soprusi di una banda di delinquentelli d'alto bordo e finisce per innamorarsene; lei cede alle attenzioni del capo della banda; frattanto un pazzo, evaso dal manicomio in una notte di tempesta e considerato estremamente pericoloso, terrorizza la città.
Storm in Our Town (Toofan Dar Shahr-E Ma, 1958) ci viene presentato nell'ambito della retrospettiva dedicata al cinema iraniano di genere Thriller-Noir, quello a cui la figura del regista Samuel Khachikian (1923-2001) viene più comunemente associata. Se certe riprese neorealiste della Teheran notturna illuminata dai neon, qualche bel Borsalino e fiammifero acceso nel buio ci bastano (in fondo perché no?), allora dobbiamo essere pronti ad ammettere che esiste un Noir in cui tre muli ballano il Twist.
Questo per ricordare che siamo di fronte a un ibrido estremamente personale, impossibile da incasellare con precisione nel sistema dei generi classico; lunghe sezioni del film sono ben più comiche che drammatiche, tante sequenze hanno sapore spiccatamente surreale. L'incipit - cinque minuti dedicati all'evasione del matto e a un omicidio da lui compiuto - è un buon esempio della varietà di spunti formali messa in campo da Khachikian: fotografia espressionista, lampi che squarciano il cielo, primissimi piani di smorfie orribili e gestualità iper-teatrale da horror anni '20. L'"Hitchcock iraniano" ha ben poco a che spartire col Maestro del Brivido, ma se è vero che come lui schizzava storyboard completi anche dell'ultimo dettaglio, quello corrispondente a questa scena dev'essere qualcosa di impressionante in sé; più in generale l'idea che si ricava dal film è quella di un curioso incrocio fra noir (vicoli, lampioni, abitacoli di macchine), fotoromanzo, comicità quasi slapstick e derive da cartoon alla Chuck Jones.
Nei film di Khachikian la critica ha colto sottotesti che vanno dai fantasmi del genocidio del 1915-16 (al quale la famiglia del regista, nato in Iran ma di sangue armeno, scampò per un pelo) alla condizione della donna, fino alla miseria delle classi meno abbienti. Anche questo Storm in Our Town è ben più attento alla realtà sociale del paese di quanto non lascino supporre i toni semiseri del racconto, adorabile nella sua ingenuità profondamente morale; i cattivi sono figli di papà con il vestito buono, il pericoloso psicopatico è in realtà una pasta d'uomo che come il Boo Radley del Buio oltre la Siepe farà fuori in extremis il più cattivo di tutti (salvo poi tornarsene dritto in manicomio!).
Nel discorso ha la sua parte anche il Cinema, simbolo ambiguo e ingannatore di tutti i sogni e le aspirazioni della gente. "carino quello; somiglia a Clarke Gable" dice un'amica alla sorella del protagonista - che ha le pareti di casa tappezzate di foto di divi americani – al primo incontro con il cattivone; più avanti lui la blandisce con promesse di amore eterno e sogni esauditi, prontamente tradotte da Khachikian in scenette finto-hollywoodiane fra vapori e castelli di cartongesso che Gilliam avrebbe volentieri incluso in Münchausen. Davanti a Storm in Our Town si ride e ci si inquieta, possono anche scoppiare applausi (è successo); alla fine si esce dalla sala piacevolmente spiazzati, con l'impressione di avere assistito a qualcosa di unico.