Questa edizione del Cinema Ritrovato è stata inaugurata dalla proiezione in Piazza Maggiore de L'Atalante di Jean Vigo. Ritroviamo l'ambientazione su una chiatta, il viaggio lungo un fiume e una storia d'amore anche in Unter den Brücken di Helmut Käutner, realizzato nel 1946.
Due amici, marinai su una chiatta nella quale vivono, si contendono le attenzioni e gli amori di una giovane ragazza, anche lei preda della solitudine, senza però mai tradire per davvero la loro amicizia, come l'atipica (e utopica, ma rasserenante) risoluzione del triangolo amoroso dimostra.
È un film, vedremo, assolutamente piacevole e riuscito, per la sua gradevolezza, per i numerosi momenti in cui si sorride e soprattutto per il tono malinconico che lo pervade da inizio a fine, ma pure un film che trova buona parte del suo interesse anche in quello che non racconta e nelle realtà che non vengono affrontate direttamente, ma che inevitabilmente riecheggiano. Unter den Brücken infatti evita qualsiasi riferimento alla situazione della Germania appena uscita e devastata dalla guerra e dal dramma del nazismo, lasciando la storia con la esse maiuscola nel fuoricampo; elemento ancor più interessante se si considera che Käutner ha iniziato la lavorazione del film a Berlino nel 1945, ancor prima dei bombardamenti alleati sulla capitale tedesca, e che quindi è possibile vedere alcuni angoli della città che presto sarebbero stati distrutti.
Unter den Brücken è un film che si concentra quasi totalmente sul racconto dei sentimenti di tre solitudini, e sui loro variabili incastri; un film apparentemente fuori dal tempo storico, una via di fuga a disposizione degli abitanti di un paese in ginocchio e scioccato. Un po' come certe cosiddette "commedie dei telefoni bianchi", con però una fondamentale e decisiva differenza. Se quel tipo di commedia offriva perlopiù mondi, fisici e "sociali", da vagheggiare e desiderare nella loro affascinante irrealtà e nella loro vacuità, nel caso del regista tedesco la malinconia dominante e la mestizia con cui i tre personaggi, in fin dei conti, vivono e affrontano la vicenda riflettono, a livello metaforico, la situazione generale e l'umore del paese; come se si potesse sì sognare e fuggire, ma solo fino ad un certo punto e mai fino in fondo.
La sostanza "eterea" della vicenda si scontra inoltre con il realismo dello stile – non lontano dal coevo neorealismo; infatti, per gli strani cortocircuiti che spesso caratterizzano la storia del cinema, Unter den Brücken ricorda certe commedie neorealiste del decennio successivo - e con la precisione (si vedano, per esempio, le sequenze ambientate nel cantiere o certi panorami della capitale tedesca) con cui vengono rappresentati i lavori, gli sfondi e le ambientazioni. È un po', quindi, come se la storia con la esse maiuscola, esclusa dalla vicenda, venisse riflessa negli stati d'animo e nell'atmosfera generale del film. Käutner gestisce la malinconia di fondo e l'equilibrio tra umorismo e patetismo con mestiere ed efficacia, realizzando così un film delicato, lieve pur nei suoi rimandi indiretti e nell'inevitabile influenza del contesto storico, a tratti struggente e in fin dei conti "tenero".