Il quinto film dei fratelli Marx arrivò in Italia con quarant’anni di ritardo per colpa della censura fascista con un titolo diverso, sul secondo canale, grazie al ciclo “Quando Hollywood rideva” ad opera di Ernesto G. Laura. Il doppiaggio della Rai vedeva la direzione di Oreste Lionello, che si riservò l’arduo compito di prestare la propria voce alla sagace parlantina di Groucho. Ma nonostante il risultato lodevole, forse anche più che i Monty Python i fratelli Marx vanno visti rigorosamente in versione originale sottotitolata per poter essere apprezzati pienamente.
Col doppiaggio si perderà sempre gran parte della loro comicità, fatta di assonanze e allusioni molto difficili da rendere in italiano. Battute come “questo è un giorno di gala per lei” con Groucho che risponde “beh, mi basta, non credo che ce la farei con più d’una ragazza al giorno”, sono impossibili da cogliere per via dei loro giochi di parole interni (a gala day = un giorno di gala, a gal a day = una ragazza al giorno). Ecco perché nella programmazione del Cinema Ritrovato, all’interno del ciclo su Leo McCarey, La guerra lampo dei fratelli Marx torna ad essere Duck Soup e ancora oggi non cessa di sprigionare la sua avanguardistica e dinamica potenza.
Ogni volta che viene proiettato la domanda sorge spontanea: come facevano ad essere già così avanti nel 1933? Perché di questo si tratta. Duck Soup è considerato a ragione il film più importante dei fratelli Marx perché porta il loro non-sense distruttivo sul terreno della satira, e porta lo spettatore contemporaneo a chiedersi come mai fosse stata negata, a loro come a tanti altri, la possibilità di un’evoluzione comica in tale direzione. Duck Soup è un’opera di rottura rispetto alle convenzioni del tempo, sotto il profilo sia narrativo che umoristico, in quanto “girandola di invenzioni scatenate da una fantasia perennemente eccitata, ma sempre regolata da un’intelligenza e da un gusto sopraffini, e ricondotta a unità dalla forte intenzione satirica che la muove a sparare bordate di ridicolo all’indirizzo di guerre, regimi totalitari e loro inevitabili sopraffazioni” (Radiocorriere Tv, 1972).
E pensare che Leo McCarey non fu particolarmente entusiasta di girare questo film, preoccupato com’era dalla fama di casinisti ingestibili di cui i quattro fratelli godevano. Ed è in effetti la pellicola meno personale del suo periodo migliore, se pensiamo che nei quattro anni successivi avrebbe girato Il maggiordomo, La via lattea, Cupo tramonto e L’orribile verità. Tuttavia McCarey riesce qua e là a farsi sentire, inserendo una citazione al suo Sittin’ Pretty del 1924 (che il curatore del ciclo ha ben pensato di mostrarci prima della proiezione) nella scena in cui Harpo e Chico si travestono da Groucho e replicano i suoi gesti come se fossero davanti a uno specchio. Ma a parte questo, non è curioso che quello stesso McCarey che negli anni Cinquanta avrebbe realizzato film di propaganda maccartista come L’amore più grande, negli anni Trenta diresse il più anarchico dei lavori marxiani?