Per rendere attraverso un'immagine la fisionomia del volto di Anna Magnani, tra la severità e naiveté di uno sguardo iconico e senza tempo, Marina Vlady utilizza un'espressione molto particolare, che ha avuto anche difficoltà a tradurre in italiano, anche perché, probabilmente, un fedele corrispettivo in italiano non ce l'ha. Per una Vlady ventenne, al meglio delle proprie possibilità artistiche e circondata dal più stimolante ed eclettico degli ambienti culturali, la Magnani aveva questi occhi, "les yeux d'action de grâce de la nuit de l'amour": uno sguardo stanco, mutilato, ma nello stesso tempo vivo e vitale, appassionato. Tutti conosciamo l'ambiguità e la forte carica emotiva che ne ha sempre trasparito, con una voce che impone il silenzio ovunque si trovi, ma la protagonista di Due o tre cose che so di lei ha condensato tutto in un'unica espressione.
Protagonista di uno dei primi incontri ravvicinati di questa trentaduesima edizione del Cinema Ritrovato, Marina Vlady è innanzitutto una cinefila, attrice coltissima che nasce da una formazione teatrale altrettanto varia e composita come quella che poi caratterizzerà la sua carriera cinematografica: tra Shakespeare e l'incondizionato amore per Cechov, il teatro è stato per lei luogo di formazione imprescindibile, i cui palchi continua tutt'ora a solcare, imperterrita e ostinata. E l'ostinazione è da sempre stata una caratteristica di Marina Vlady, sia nell'arte che nella vita. Parlando di Giorni d'amore (primo film in cui sia lei che Mastroianni hanno avuto la loro prima parte da protagonisti) l'attrice ha ricordato quanto l'air du temps di quel periodo storico e sociale fosse pura, autentica e intrisa di un forte spirito rivoluzionario: tutti i cineasti, a loro modo, erano comunisti, da De Santis a Emmer e la Vlady ha formato la propria coscienza politica con e nel cinema.
Tra un Godard perduto e ritrovato – e alla fine rifiutato – e la fascinazione esercitata da Marlon Brando sulla piccola Vlady, ci si domanda come possano essere stati possibili tutti questi amori, ma la risposta dell'attrice è magnetica, unica, squisitamente francese: "C'est la vie". Leggera e disinibita, la divoratrice Ape regina fa inoltre parte di quel manipolo di attrici che nel 1971 firmarono un manifesto a favore dell'aborto: artista, scrittrice e inamovibile femminista, Marina Vlady, improvvisando negli sguardi, nelle risate e nel pianto, ha recitato la gioventù, la grazia e l'ambiguità, affermandosi come una delle più iconiche e seducenti personalità artistiche del panorama internazionale, dagli anni '50 ad oggi.