Non sono nuove nel cinema comico le scene in cui il protagonista, ovviamente non dotato di fisico adeguato, si cimenta come pugile: citiamo solo Io e la boxe di Buster Keaton e il Chaplin di The Champion e Luci della città. Non è da meno Lloyd in The Milky Way, con i suoi riflessi, la sua sorprendente agilità, i suoi scatti rapidissimi, i giochi di gambe. Qui è tutta la trama del film a basarsi sulla successione di match truccati, vinti dall’impostore Burleigh Sullivan (Lloyd), che, e lo nota bene la sua ragazza Polly, da tranquillo e imbranato fattorino del latte, neanche tra i più professionali, tutto casa e famiglia, cioè sorella, a Brooklyn, si trasforma, a causa degli ingenti guadagni, in “Tiger”, un vero sbruffone, e si fa addirittura accompagnare in giro da un leone addomesticato e precedere da una banda di suonatori di cornamuse.
Tratto da un’opera teatrale di Lynn Root e Harry Clork, lo spassoso The Milky Way è tanto un film di Leo McCarey, nel ritmo indiavolato, nella trasparenza dei piani d’insieme, nei tempi comici perfetti, nell’eccellente direzione degli attori, nella puntualità della sceneggiatura e nel rispetto umanista per i personaggi, quanto un film di Harold Lloyd. Il resto del cast è azzeccato e di tutto rispetto, con riferimento in particolare ad Adolphe Menjou (Marocco, Addio alle armi, È nata una stella, Orizzonti di gloria, tra i tanti film che ha interpretato), nel ruolo del traffichino Gabby Sloan, e alla sua consorte nella vita, Verree Teasdale, a cui sono affidate le battute più divertenti e sarcastiche del film. Ciononostante, è Lloyd a rubare la scena in quasi tutte le sequenze.
Non abbastanza conosciuto in Italia, tra i non addetti ai lavori, ma senza dubbio tra i comici del muto più grandi e di successo, probabilmente secondo soltanto a Chaplin e Keaton – da ricordare, in una filmografia sterminata, dove molti titoli sono purtroppo andati perduti, almeno Preferisco l’ascensore e la famosa scena in cui Lloyd è appeso alle lancette di un grande orologio e in cui dà prova delle sue notevoli capacità atletiche -, in film come The Milky Way, Lloyd dimostra di essere a proprio agio anche nel cinema sonoro. Il pubblico, però, non la pensa allo stesso modo e di lì a poco la carriera dell’attore termina precocemente, dopo una serie di insuccessi.
Dispiace, perché, rivisto oggi, The Milky Way fa venire qualche rimpianto per le potenzialità di Lloyd non sufficientemente sfruttate nel sonoro e, con quell’eterogeneità di stratagemmi comici che ha nei film dei fratelli Marx le sue vette, riesce, infatti, a suscitare l’ilarità degli spettatori con una varietà di gag, che vanno dalle bizzarre e interazioni slapstick tra uomini e animali (un cane, un gatto e soprattutto quell’amabile equino che è Agnes, sul cui verso ripetuto è costruita tutta l’esilarante scena del taxi), a semplici scherzi sonori, come il singhiozzo della scena iniziale, a ironici botta e risposta, in cui, per contrasto, sono davvero irresistibili la Ann della succitata Verree Teasdale e il corpulento Lionel Stander, nel ruolo dello stupidissimo energumeno Spider, mentre anche Lloyd, strafottente a dir poco, sfodera tutta la sua occhialuta faccia tosta.
Francesco Grieco