La 75a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha dedicato la serata di pre-apertura ad un classico del cinema espressionista: Il Golem - Come venne al mondo di Paul Wegener e Carl Boese (1920). Trasposizione filmica della storia della creazione del leggendario mostro d'argilla ad opera del rabbino Benjamin Yehuda Loew per fronteggiare le persecuzioni contro gli Ebrei del ghetto di Praga, questo è l’unico dei tre film che Wegener ha dedicato al mito del Golem ad essere pervenuto sino a noi, anche se in condizioni molto problematiche: le copie erano seriamente lacunose e sono stati necessari oltre due anni di lavoro per ultimare un restauro che fosse filologico per quanto riguarda il racconto, le didascalie e le colorazioni. In particolare, per quest’ultimo aspetto la copia di riferimento è stata la versione conservata presso la Cineteca di Milano.
Il risultato del restauro in 4K, realizzato dalla Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung di Wiesbaden, dalla Cinémathèque Royale de Belgique di Bruxelles e da L’Immagine Ritrovata di Bologna è mirabile e restituisce all’opera di Wegener e Boese tutta la sua potenza visiva. La storia del Golem tocca infatti dei vertici di tensione visuale ed emotiva notevoli, grazie a diversi elementi. Innanzitutto, le scenografie realizzate da Marlene Poelzig su disegni dell’architetto Karl Poelzig: pure forme espressioniste, che richiamano in parte l’arte gotica e in parte forme antropomorfe (mirabile la scala a chiocciola che ricorda un orecchio), veri e propri riflessi architettonici di un sentire tragico che all’epoca si esprimeva anche nelle altre arti visive e che pure si ritrovano in opere cinematografiche coeve come il Caligari di Robert Wiene (1920). Gli effetti speciali, in secondo luogo: meravigliose soluzioni visive che incantano ancora oggi per la resa di quel particolare sentimento di fascinazione e terrore per la magia e che attraverso trucchi (la polvere di mica macinata per ottenere l’effetto della luce al crepuscolo), sovrimpressioni ed elaborati movimenti di macchina (c’è Karl Freund alla fotografia e alla macchina da presa) lasciano meravigliati per il loro anticipo sui tempi. Stupefacente è ad esempio la sequenza dell’evocazione di Astaroth, in cui il fumo che fuoriesce dalla bocca dell’entità rivela al rabbino la parola che gli permetterà di dare vita al Golem. Notevole è anche la ricerca sui rapporti tra i vari piani dell’azione, che oscilla tra primo piano e campo lungo anche all’interno della stessa inquadratura, come quando il rabbino si avvicina alla macchina da presa per inserire la formula magica nella stella d’argilla e poi torna indietro per posizionarla sul Golem.
A rendere assai particolare la serata è stata anche la sonorizzazione dal vivo del film: l’ensemble Mesimèr ha eseguito brani composti dal suo direttore Admir Shkurtaj, che per onorare il compito affidatogli dalla Biennale ha scelto un approccio moderno: musica per lo più atonale, eseguita da un organico che prevede, oltre a strumenti classici quali il violoncello e il pianoforte, anche strumenti moderni come il sintetizzatore. Se dal punto di vista filologico la musica poteva dunque sembrare non pertinente al film (benché in alcuni momenti si sia mantenuta fede alla tradizionale musica “di commento” che ricreava la situazione sonora della scena, ad esempio con le percussioni che riproducevano i balli durante la festa), l’obiettivo del Maestro Shkurtaj è stato il raggiungimento di una coerenza sonora con l’atmosfera visuale dell’opera: i suoni prodotti dal sintetizzatore si accavallavano alle note del violoncello e ai vocalizzi del soprano creando un tappeto sonoro “espressionista” che riproduceva acusticamente quel senso di costante disagio e tensione che emerge dall’opera filmica.