Non sorprende che Martin Scorsese abbia descritto Le forze del male di Abraham Polonsky come uno dei film più influenti per la sua carriera. Questo noir sorprendente incentrato sulle lusinghe del denaro e sulla capacità metamorfiche della criminalità presenta diversi elementi che ricompaiono nella filmografia scorsesiana: la natura complessa e ambivalente del rapporto fraterno tra l’avvocato della malavita Joe Morse e il fratello maggiore Leo; la voce narrante del giovane arrivista accecato dall’arricchimento facile del percorso malavitoso; la descrizione dettagliata del sistema criminale delle scommesse nelle sue diverse sfumature di illegalità, connesse a motivazioni e contesti altrettanto diversi.
La sceneggiatura, scritta da Polonsky insieme all’autore del romanzo da cui è tratta Ira Wolfert, non lascia dubbi su quale sia la “forza del male” che corrompe e corrode i rapporti umani: è la corsa all’accumulo esponenziale di ricchezza, e il suo fulcro è Wall Street, che il film identifica sia con le manipolazioni della finanza, sia con quelle sotterranee e più esplicitamente violente della criminalità organizzata. In una parola, il capitalismo: le manovre suggerite da Joe finalizzate all’espansione criminale dei traffici del boss Tucker seguono la stessa logica di quelle delle corporation, che inglobano o distruggono.
Non a caso Force of Evil non contrappone la giustizia e il crimine, o il bene e il male, bensì due concezioni dell’esistenza e dei rapporti di classe, incarnate dalla differenza etica, generazionale (e persino fisica) tra i due fratelli: lo scaltro e cinico Joe di Garfield e il disilluso Leo di Thomas Gomez, perennemente angosciato ma onesto anche nell’attività clandestina. Se Leo lavora circondato da derelitti e persone sole di cui è pronto ad assumersi la responsabilità, Joe si è messo al servizio del lato oscuro dopo un’adeguata istruzione resa possibile dai sacrifici del fratello: un’educazione che lo accomuna al socio doppiogiochista e al procuratore apparentemente incorruttibile che, da fuori campo, aleggia minaccioso tanto sugli affari di Tucker quanto su quelli di Leo, senza minimamente considerarne la differenza di scala e di pericolosità sociale.
Oltre alle interpretazioni dei protagonisti e alla profondità della critica sociopolitica, è notevolissimo anche l’utilizzo dello scenario urbano e degli spazi interni, con l’inquadratura spesso attraversata da linee verticali o contrasti luminosi obliqui, tra soluzioni visive quasi espressioniste e scorci esterni imponenti che schiacciano i poveri corpi umani, come nello straziante, e necessariamente spietato, finale.