Festival come Il Cinema Ritrovato, lo abbiamo detto, servono anche a riguardare con la dovuta calma, e lontani dalle gerarchie del singolo autore, lavori perduti e rari, come la copia cinemascope di Lo sciacallo di Melville (1963), tratto da Georges Simenon. “Strano film”, si è sentito più volte dire tra il pubblico all’uscita. Più che strano, ambiguo, di un’ambiguità fertile, lontana dal senso dell’onore e dallo sguardo tragico che spesso Melville ha riservato ai suoi personaggi. Qui siamo più dalle parti dello psicologismo simenoniano, sia pure lontani dall’analisi al microscopio delle miserie e dei limiti antropologici della società borghese.

La storia del ricco banchiere in fuga verso l’America, e del segretario-avventuriero (Belmondo) che lo accompagna annusando l’odore della scia di denaro , ricorda un po’ il gioco del gatto col topo. Charles Vanel interpreta un corrotto, ma dal passato avventuroso; un uomo ricco e potente, ma ridotto via via all’impotenza. Mentre l’ex pugile ed ex parà interpretato da Belmondo caricano l’attore di una controversa doppiezza che forse il suo sguardo, all’altezza dei primi anni Sessanta, non è del tutto in grado di reggere. Tuttavia, guardando proprio a “Be-bel”, Lo sciacallo conferma la corrispondenza d’amorosi sensi tra Melville e la nouvelle vague. I momenti di viaggio, i personaggi che vanno e vengono, i colori squillanti e pop, i momenti di stasi – più che veri e propri difetti (spesso imputati a questo film) – ricordano Godard e un Truffaut più tardo, quello di film “d’appendice”, con lo stesso attore. E c’è anche una curisoa Stefania Sandrelli, nei panni di una autostoppista col vizio del furto, che recita in inglese, con caschetto biondo, e si merita un bacio appassionato di Belmondo.