Non è ancora del tutto trascorsa, nel 1950, quella “nuttata” che sarebbe dovuta passare per distinguere i sommersi dai salvati. Un lustro dopo la prima al San Carlo, in una città devastata dalle conseguenze del conflitto bellico e prossima al sacco edilizio del sindaco-comandante Achille Lauro, Napoli milionaria approda al cinema, terza occasione per il suo commediografo, Eduardo De Filippo, di misurarsi con la regia a distanza di sette anni dall’ultimo tentativo. La storia è nota: dopo la deportazione di Gennaro (lo stesso Eduardo), sua moglie Amalia (Leda Gloria) si dà alla borsa nera per mantenere la famiglia, aiutata da un compare che la corteggia (Pietro Carloni, marito di Titina De Filippo, qui presente nel ruolo di donna Adelaide). Si arricchiscono tutti. Gennaro torna e non riesce a capire. Colpo di scena: la figlioletta si ammala. Lacrime e sospiri: speriamo che tutto vada bene.
Mentre il neorealismo è già nella sua fase calante, il maestro rifiuta il “teatro in scatola” (che, a dire il vero, ha sempre evitato) e sceglie di adattare la commedia, con Piero Tellini e Arduino Maiuri, non limitandosi più all’unità d’azione del basso dove abita la famiglia Jovine. Grazie alle scenografie di Piero Gherardi, Piero Filippone e Achille Spezzaferri, che inventano un set pieno di suggestioni realistiche senza dimenticare la peculiarità dell’origine teatrale, fa prendere aria al testo con riprese marittime oppure tese a raccontare la flora degradata dalla guerra; e in più dà dignità al vicolo, ideando la piccola osteria in cui si incontrano alcuni personaggi. “Diario napoletano di cose accadute ieri, oggi… domani?” si legge sui titoli di testa, suggerendo una chiave di interpretazione non esclusivamente ancorata al discorso sul recente passato, ma proiettata allo scontro dentro l’arco costituzionale del dopoguerra.
Militante in senso popolare, Eduardo trova, infatti, la possibilità di chiosare le storture della politica contemporanea attraverso il personaggio di Pasqualino Miele, un disperato chiamato dai Jovine per fingersi morto e ingannare le guardie (a teatro era lo stesso Eduardo, nel ruolo di Gennaro, a recitare il numero). Forse imposto dal produttore Dino De Laurentiis per esigenze di cassetta, Totò era tuttavia in ottimi rapporti con Eduardo, che non solo conosceva da sempre ma soprattutto stimava e rispettava come drammaturgo. E l’affettuosa deferenza si avverte negli equilibri che istintivamente si danno i due, con Totò comprimario di lusso che sottrae al regista-attore solo lo spazio che gli tocca, senza mai prevaricare, consapevole della preziosità del suo intervento sì irresistibile ma dal fondo amarissimo. Inoltre, a pensarci bene, difficilmente Totò ha potuto esplorare l’ambiente natale con la stessa esattezza offertagli qui da Eduardo. Di Napoli milionaria, l’autore diresse anche una versione per la televisione, nel 1962, interpretata da una maestosa Regina Bianchi.