Produttore, sceneggiatore, organizzatore di eventi e regista, Gianni Amico ha avuto un ruolo di notevole importanza nel panorama culturale italiano tra gli anni Sessanta e Ottanta, pur restandone con discrezione sempre ai margini. Il suo cinema costituisce un esempio unico di sintesi artistica tra forme e linguaggi differenti e distanti in una rielaborazione concettuale di numerose influenze, dal Neorealismo alla Nouvelle Vague, dal Cinéma Vérité al jazz e alla cultura latinoamericana. I due film presentati in rassegna formano un dittico quasi indissolubile, espressione di passioni e competenze che l’autore non solo dimostra di possedere, ma che ha assimilato e combina in una forma “altra” più complessa e profonda. Noi insistiamo! Suite per la libertà subito e Appunti per un film sul jazz sono lavori che sotto l’apparente e generica struttura documentaria, nascondono aspetti decisamente avanzati sia per stile che per tecnica e contenuti. Il primo, costruito sulla nota composizione di Max Roach del 1960 We Insist! Max Roach’s Freedom Now Suite – album essenziale della Storia del Jazz che coniuga la forma artistica afroamericana per eccellenza con l’impegno politico per la causa nera – associa alla musica immagini in bianco e nero del processo di emancipazione nera non solo americana.
Partendo dal discorso specifico di Roach, Amico lancia dunque un messaggio panafricanista, un messaggio collettivo che tenga conto di una realtà che va oltre quella locale per aprirsi a contesti internazionali, mondiali, in linea con il coevo pensiero di Malcolm X di cui il regista condivide apertamente le idee di protesta per una necessaria pacificazione. L’immediatamente successivo Appunti, si presenta invece come un film più personale, ma non meno originale, nel quale l’autore riesce a dare forma a un ideale estetico da lui spesso ribadito, secondo il quale per comprendere il jazz il pubblico deve viverlo da dentro. Utilizzando apparecchiature leggere e maneggevoli, come fosse esso stesso un musicista del gruppo, Amico conduce lo spettatore all’interno di una session bolognese di – tra gli altri – Gato Barbieri, Don Cherry e Jenny Clark in occasione del locale VII Festival Internazionale di Jazz.
Il film è costruito come un vero pezzo jazz, basato com’è su parti comunitarie (le prove e il concerto) e assoli (le interviste ai vari componenti). Testimonianza ed esibizioni si fanno tutt’uno, in un connubio tra arte e vita riflesso diretto della visione del cineasta. Pratica artistica quindi non come dimensione espressiva a se stante, ma legata indissolubilmente alla vita, da cui è condizionata e che a sua volta condiziona, in un imprescindibile rapporto dialettico.
Lapo Gresleri