Tra i teorici del cinema russo della seconda metà degli anni '20 c'è una certa diffidenza nei confronti del sonoro, specie per i film recitati. A dire la verità c'è anche una certa diffidenza verso i film recitati in genere, ma questa è un'altra storia. Fatto sta che ancora nel 1927, Juryj Tynjanov, sceneggiatore del Tenente Kiže, sostiene, in Le basi del cinema, che lo specifico filmico sia da ricercarsi nella 'povertà' del mezzo, dovuta all'assenza della terza dimensione, del colore e del sonoro. Date queste premesse, la specificità del cinema può emergere solo attraverso l'elaborazione stilistica, nel momento in cui l'immagine, rinunciando alla riproduzione del reale, trasforma la sua povertà in forza costruttiva. Perciò, lo scopo di un film non è di restituire il mondo visibile in quanto tale, ma nelle sue correlazioni di senso, ossia di rivelare l'artificio in vista di un fine poetico.

Ebbene, di lì a poco, questa affascinante teoria formalista ancorata a un cinema in bianco e nero, bidimensionale e muto, rischia di essere buttata a carte all'aria, non da Stalin, ma dall'avvento del sonoro.

In verità, più che rappresentare una minaccia, il sonoro offre ulteriori possibilità di declinazione stilistica e la musica partecipa alla definizione del sistema-film. È quello che accade nel Tenente Kiže, nato dalla collaborazione tra Tynjanov, il regista Aleksandr Fajncimmer e il compositore Sergej Prokof’ev. La spassosa pellicola dal sapore gogoliano sembra imperniarsi su un principio di costruzione squisitamente formalista: quello della forma che crea il contenuto e addirittura della forma che esiste al di là del contenuto, diventando, essa stessa, contenuto. Prestando attenzione all'aspetto sonoro, si può constatare che, almeno in un caso, il contenuto è una diretta conseguenza del suono. Si pensi alla nascita di Kiže e alla scena dell'errore di trascrizione, quando il burocrate continua a ripetere ad alta voce “Poručik-že..Poručik Kiže”: in pratica è un esperimento di poesia transmentale (zaumnaja poezija), in cui i suoni di parole inventate concorrono a modellare il linguaggio poetico; in questo caso, a creare una nuova identità. E la musica va nella medesima direzione: in quel momento ha certo la funzione di servire il contenuto, ma il contenuto, ad essere sinceri, non c'è, visto che Prokof’ev crea il leitmotiv di Kiže senza un vero e proprio referente filmico del personaggio e, di lì in poi, la non-presenza di Kiže diventa una presenza, in quanto segnalata dalla musica.

Ovunque, nel film, domina la stilizzazione, dalla messa in scena alla recitazione, oltre che, naturalmente, nel contesto evocato della burocrazia militare: è proprio la stilizzazione esasperata, in linea con la teoria letteraria di Tynjanov, che portando alla meccanizzazione del procedimento fa scattare la parodia. Pur partendo da diversi presupposti, anche la musica si allinea al medesimo principio.

La colonna sonora, composta da Prokof’ev al suo rientro in Unione Sovietica dopo anni di assenza, è la prova di un suo mutato approccio al linguaggio musicale. Prende forma in un periodo in cui il compositore, accantonato il risentimento per la contestazione del Passo d'acciaio da parte dell'Associazione dei Musicisti Proletari e ormai stanco della snervante moda europea degli scandali da prima esecuzione, riacquista speranza nei confronti della madrepatria, vista come un luogo in cui poter comporre in pace. Desidera creare grande musica che sia però melodica e comprensibile, rivolta a milioni di individui. Ed ecco che la richiesta di scrivere la colonna sonora del Tenente Kiže gli offre la possibilità di raggiungere un pubblico di massa. Questa, in sintesi, l'aspirazione di Prokof’ev, che lo spinge a forgiare per il film di Fajncimmer gustose melodie popolaresche e militaresche, un'indimenticabile romanza e una Troika destinata a diventare un classico citatissimo. Ora, per quanto il compositore non fosse certo mosso da intenti formalisti, il proposito di scrivere nuova musica che fosse colta ma semplice, arguta e ispirata dell'epoca in cui è ambientato il film, finisce per adattarsi perfettamente all'obiettivo di stilizzazione e parodia ricercato da Tynjanov. La teoria, insomma, ha inglobato la partitura.

In conclusione, vale la pena ricordare il gran finale di questa vicenda formalista: la colonna sonora del film, rimaneggiata e strutturata in forma di suite sinfonica da Prokof’ev stesso, ha acquisito vita propria e continua ad apparire nei programmi di sala, totalmente emancipata dalla pellicola per cui era stata scritta. Dopotutto, era nata per un tenente che nemmeno esisteva.