In occasione dell’anniversario del Technicolor viene proiettato, passato dal restauro fotochimico degli anni Novanta a quello in digitale, Cover Girl (1944), il primo Technicolor della Columbia. A presentarlo è Grover Crisp (Sony Pictures Entertainment) che, insieme a Farinelli, si augura che il proiettore sostituto di quello che il giorno prima aveva deliziato la sala con On The Town (1949), possa essere anch’esso all’altezza del compito.
Rusty, una ballerina di fila tenta un provino per apparire sulla copertina di una rivista. Chiaramente non viene presa al primo tentativo ma ha la fortuna di essere notata in seguito dal direttore della suddetta rivista che, incantato dal ricordo di un amore giovanile, la vuole come ragazza immagine. Per via della sua natura coinvolgente, una cosa è certa: il Tip-Tap non muore mai. Sullo schermo invece muoiono i capelli rossi di Rita Hayworth, comunque stupenda che, pur non mostrando il fascino glaciale ed inarrivabile di The Lady from Shanghai, ci conquista con un viso di una bellezza più secolare e con un umorismo disinvolto. Il numero di “Poor John” la rende portatrice di ammirabilissime smorfie (sapendola doppiata nelle parti cantate da Nan Wynn, non si può che riconoscerle il talento nella recitazione).
Detto questo, nulla toglie alla vena comica del film, carica di ironia teatrale. “Cosa faresti se la tua giovinezza entrasse da quella porta?” “Le metterei l’apparecchio ai denti.”
Senza contare il frastuono di risate portate da quelle scelte che al tempo non avrebbero ricevuto la stessa riposta e che, magari, non erano proprio state pensate col fine di far ridere! Dall’oggi proverbiale “Ti vedo come un amico” che qui diventa “Ti vedo come un impresario” al melodrammatico svolazzare del vestito di Rita nelle ultime sequenze. Il potenziale del colore non è sfruttato a pieno: il Technicolor è il perfetto intermezzo fra le eleganti sfumature ovattate del bianco-nero e la gioia del colore puro. Se però in On The Town vediamo esplodere verdi bottiglia e scarlatti vivaci, in Cover Girl c’è invece un approccio più timido rispetto a queste scelte, che deviano più volentieri sulle tinte pastello.
Magistrale è la scena di ballo di doppio di Gene Kelly, coreografia di Stanley Donen. È notevole perché, al di là dell’esecuzione impeccabile (si parla di una scena in cui Kelly esegue un complesso numero di danza con il proprio riflesso, che prende vita), questa scena riesce a far uscire il film da quell’idea, caratteristica degli albori del musical, che bisognasse trovare una giustificazione per inserire numeri cantati (il risultato era inevitabilmente che le trame vedessero i personaggi in relazione con ambienti teatrali).
Al di là di ogni confronto, è un musical eccezionale. Facendo un confronto, a questo film si potrebbe aggiudicare l’Oscar dei baci più brutti della storia del cinema. In sintesi? Favoloso.
Eugenia Carraro