I sogni nel cassetto del titolo sono quelli di una giovane coppia di studenti, interpretati da una magnifica e splendida Lea Massari – in uno dei suoi ruoli più importanti- e da Enrico Pagani: i due giovani inseguono questi sogni –che si possono sintetizzare nel voler passare la vita insieme a dispetto delle regole, delle convenzioni e del “buonsenso”- combattuti tra le aspirazioni piccolo borghesi dell’ambiente e delle famiglie d’origine, e le pulsioni all’anticonformismo e alla libertà. Una sorta di ribellione, giocosa, ingenua e “gentile” fin che si vuole, che, moderata dal tono garbato e bozzettistico della commedia, non assume mai davvero le connotazioni dello scontro frontale e drammatico, ma la cui rappresentazione (proprio per questo motivo) certamente pone delle questioni importanti sulla società italiana degli anni cinquanta in cambiamento, sempre più lontana dalle ferite della guerra e sempre più vicina all’ubriacatura del boom economico. In particolare sulle pulsioni e sulle tendenze ancora in erba e pronte ad esplodere nel decennio successivo di attori sociali o nuovi o a alla ricerca di un’inedita idea di sé (i giovani e le donne). Il confine tra ribellione e accettazione degli schemi già radicati è nella vicenda narrata labile e confuso, proprio come, del resto, lo era nella società italiana in quegli anni di trasformazione; il film di Renato Castellani diventa così un’importante testimonianza storica e culturale, anche aldilà dei comunque molto alti meriti propri del film.
Nel suo bozzettismo di fondo, sottolineato stilisticamente dalle frequenti dissolvenze, e che regala una galleria di significativi e gustosi personaggi secondari che diventano brevissimi e acuti ritratti dell’universo di provincia, I Sogni nel cassetto è anche una delle ultime vere testimonianze del neorealismo; di quel cosiddetto “neorealismo rosa” che lo stesso regista aveva contribuito a creare, e che, col senno di poi, ha probabilmente mantenuto più a lungo certe fondamenta poetiche del movimento rispetto al neorealismo più tradizionale, già da una manciata di anni esaurito o inglobato da altri approcci. Il neorealismo “formato commedia” (si veda, per esempio, il quasi contemporaneo Poveri ma belli) quindi come filone più adatto a raccogliere il testimone della rappresentazione della realtà e delle sue problematiche in un decennio in cui, però, gradualmente la speranza, l’entusiasmo e il miraggio del benessere crescevano.
Quasi pavloviano pensare all’approdo di questo processo alla commedia all’italiana, che, una volta raggiunto il boom, si è mostrata pronta a rappresentare il “lato oscuro della luna”. Anche se è fuorviante e impreciso considerare I sogni nel cassetto come precursore di quella stagione, il film ha con certi esempi di commedia all’italiana però in comune la capacità di virare verso la tragedia, a cui improvvisamente approda il melodrammatico e inaspettato finale. Merito del festival è quello di avere mostrato anche il finora inedito finale alternativo –un happy ending richiesto dal produttore Angelo Rizzoli, il quale però vedendolo è tornato sui suoi passi- e di avere raccontato le varie ipotesi su come far finire il film, permettendoci di immaginare come sarebbe stato l’impatto del primissimo finale pensato da Castellani, probabilmente, sulla carta, il più adatto: cioè, una chiusa amarissima senza essere esplicitamente tragica.
Edoardo Peretti