Dopo il successo dello scorso anno del restauro di Das Cabinet des Dr. Caligari, a cura del Friedrich Wilhelm Murnau Foundation (FWMF) e dall’Immagine Ritrovata, insignito del premio come miglior restauro dell’anno, il Cinema Ritrovato 2015 propone Varieté (1925) di Ewald André Dupont e con Emil Jannings nel ruolo di attore protagonista. Questo classico del cinema tedesco, ha ripreso vita grazie alla collaborazione tra il FWMF e il Filmarchiv Austria di Vienna che hanno operato il restauro digitale in 2K a partire da una copia nitrato di durata ridotta per il mercato americano conservata dalla Library of Congress. Le didascalie tedesche e le scene mancanti derivano da una copia nitrato del Filmarchiv Austria. Alcune delle scene mancanti derivano da un duplicato positivo del Filmmuseum Munich e da un controtipo del Museum of Modern Art di New York. Le didascalie di queste parti sono state ricavate dal visto di censura e dalla informazioni tipografiche della copia viennese. Il lavoro effettuato è ripagato dal risultato presentato davanti a una sala gremita. Le vicende dei tre trapezisti “Boss” (Emil Jannings), della sua amata Berta-Marie (Lya de Putti) e di Artinelli (Warwick Ward), sono tornate ad incantare il pubblico. La storia si riassume intorno al triangolo amoroso tra i tre, che il regista costruisce con estrema finezza. Il linguaggio dei corpi è perfetto, ogni gesto o espressione costruiscono il tumulto di sensazioni che pervadono l’animo dei personaggi. Non manca una componente erotica, che, pur tenue, è un elemento caratteristico di tutto il racconto.
Amore, gelosia, dolore e vendetta dove il massimo è rappresentato da mezzi primi piani, in cui Jannings fissa minacciosamente il rivale in amore, che da lì a poco ucciderà. Incredibili anche le riprese in cui si cattura il vertiginoso punto di vista dei trapezisti, che volano sopra le teste degli spettatori. La storia viene raccontata da Boss al giudice che sta esaminando le pratiche per la sua grazia. Proprio per questo il punto di vista porta a parteggiare e solidarizzare con l’omicida: un terribile gesto passionale viene così attenuato dalla motivazione di fondo, tanto che il giudice, dopo aver ascoltato il racconto, concede a Boss la grazia sostenendo che Dio lo ha già punito sufficientemente. Insomma tutto bene quel che finisce bene. Oppure no?
Yann Esvan