Mentre è diretto in auto verso le montagne, un uomo incontra e aiuta una scalcagnata famiglia composta da due nonni e una nipote diciannovenne, Velma, in viaggio dall’Ohio verso Los Angeles. Proprio una brava persona, commenta il nonno, subito prima che una pagina di giornale ci informi che l’uomo è Roy Earle, rapinatore nemico numero uno dell’FBI, incredibilmente rilasciato in anticipo dalla prigione. Così inizia Tutto finì alle sei (I Died a Thousand Times) di Stuart Heisler, remake di Una pallottola per Roy di Raoul Walsh, la cui sceneggiatura è stavolta accreditata al solo W.R. Burnett, autore del romanzo originario High Sierra.
La parabola archetipica della caduta dell’antieroe con un’anima ha un’indubbia presa su Hollywood e sul suo pubblico, e il volto di Jack Palance intensifica la nota indecidibile tra ferocia e gentilezza del suo Roy, umanamente combattuto tra l’inevitabilità del suo destino e il desiderio di cambiare vita. Il film comincia delineando subito i limiti della sua presunta, neoacquisita libertà: il protettore, amico e capo Big Mac richiede immediatamente i servizi di Earle per una rapina in un hotel di lusso ai piedi della Sierra Nevada. Nonostante sia preceduto dalla propria fama e autorevolezza, Roy si trova a dover condividere la sua celebrata professionalità con giovani complici privi di serietà ed esperienza.
La tensione tra il proprio dovere e il nervosismo che lo circonda lo spingono in cerca di redenzione verso l’innocente Velma, bisognosa di una costosa operazione al piede, a sognare una vita diversa, forse più facile, ma che presto si rivela in tutta la sua illusorietà. Nonostante il rifiuto di Velma, è solo la rivelazione delle aspirazioni ordinarie della ragazza che spinge Roy a ridimensionare la sua prospettiva e accettare l’affetto dell’infelice Marie, innamorata tenace che finisce per conquistarlo con la sua fedeltà incondizionata. Ma lo scontro con la realtà e la fine dell’illusione sono anche l’inizio della rovina, già anticipata dalla continua opposizione tra una vecchia guardia criminale tanto fredda nel mestiere quanto capace di umanità, e una nuova generazione disattenta e superficiale.
Il ruolo delle ambientazioni e in particolare del paesaggio naturale è ulteriormente esaltato dal colore e dal Cinemascope: i monti della Sierra Nevada torreggiano sulle pianure boscose sottostanti, onnipresenti all’orizzonte eppure immote e lontane, simbolo di un altrove incontaminato, ma in realtà indifferenti alla quotidianità e agli errori umani.