Il passaggio alla modernità segnato in Occidente dall’avvento di un nuovo sviluppo tecnologico e industriale a metà del secolo scorso, ha portato la cultura coeva a interrogarsi a lungo sui cambiamenti repentini negli usi e costumi delle varie società nazionali, in particolare in relazione all’ambiente piccolo borghese, messo maggiormente in crisi dall’affermazione di nuovi valori e stili di vita perché aderente a un patrimonio ormai consolidato e ora in discussione.
In questa direzione è il cinema a far da padrone, strumento popolare per eccellenza e vocazione. In Italia sono i film di Raffaello Matarazzo a rappresentare in maniera più evidente tale parossismo: le vicende di amori tormentati, ostacolati da avversità e tentazioni ma capaci sempre di riscattarsi, fedeli ai propri propositi e ideali, sono lo specchio di un passato, una tradizione che resiste alla dissipazione morale individuata nel seduttivo richiamo di un contemporaneo nuovo, indefinito e perciò aleatorio.
All’estero, ogni cinematografia si è confrontata con queste tematiche in forme più o meno riuscite e accattivanti, in particolare quella sudamericana, dove la medesima matrice cattolica poneva la questione morale allo stesso piano dei corrispettivi italiani. Ne sono esempi i film cubani presentati al Cinema Ritrovato 2016 e ancor di più quelli messicani di questa edizione, tra cui spicca Vittime del peccato di Emilio Fernández, regista, sceneggiatore e attore tra i più prolifici nell’età d’oro del cinema nazionale. Le vicende dell’avvenente Violeta, ballerina di night-club che si accolla la cura di Juanito, figlio ripudiato di una collega, finendo per prostituirsi e trovando un apparente riscatto nella magnanimità del ricco Santiago, sono la base per una riflessione un po’ ingenua ma d’immediata presa sul pubblico in merito al conflitto tra i due insiemi di princìpi che in quegli anni si affacciavano al nuovo contesto socioculturale del Paese. Nella medesima direzione vanno anche le musiche, espressione di due universi in conflittuale contrapposizione.
Il richiamo erotico rappresentato dal locale è accentuato dai balli moderni che vi si suonano, tra hot jazz, i mambo di Pérez Prado e le incalzanti ritmiche latine in sapor d’Africa, le sonorità in voga si fanno espressione del “peccaminoso” (l’allusiva Ay José! interpretata da Rita Montaner), mentre il classico melodico Pecadora di Pedro Vargas accompagna la presa di coscienza della vera madre di Juanito e la sua silenziosa ammissione di colpa (“come può il fato averti reso peccatrice/se non sai vendere il tuo cuore?”). Similmente, nell’ultima parte del film, nella quale Violeta – incarcerata per l’omicidio dell’uomo che avrebbe sfruttato il bambino conducendolo sulla cattiva strada – è costretta a vedere il piccolo senzatetto e con un misero lavoro da lustrascarpe. È un tocco neorealista a cui manca però la sensibilità intellettuale di De Sica e Zavattini: sottolineata da un’insistente partitura per archi, il dramma che si consuma dietro alle sbarre è difatti fine a se stesso, non ha funzione di allarme sociale né di sensibilizzazione propedeutica, risultando solo un retorico omaggio alle vittime di colpe non proprie che funga da monito per il tempo a venire, come a dire… straziami, ma di baci saziami!