Un bilancio delle Giornate del Cinema Muto 2024

Con più di 200 titoli fra lungometraggi e cortometraggi pervenuti dagli archivi internazionali per l’autunnale full immersion riservata a studiosi e appassionati da ogni parte del mondo non c’è dubbio che le ormai mitologiche Giornate del Cinema Muto di Pordenone, giunte alle 43a edizione e dirette da Jay Weissberg, godano di ottima salute e costituiscano una esperienza cinefila unica nel suo genere.

Cara Sophia… sei una canaglia! Lo scambio epistolare Blasetti/Loren

Di Sophia, Blasetti ne ha afferrato immediatamente le potenzialità; dietro la bellezza prosperosa, una donna con tutte le qualità per diventare un’attrice di prim’ordine. Blasetti ne è completamente soggiogato. Lo scambio epistolare tra il regista e Sophia Loren nel corso del 1957, all’indomani del successo di Peccato che sia una canaglia (1954) e di La fortuna di essere donna (1956), mette in scena un Blasetti inedito, geloso, ferito nell’amor proprio dall’aver scoperto che in un’intervista, lei ha dichiarato che tra le sue interpretazioni preferite c’è la pizzaiola di L’oro di Napoli (1954).

Il perturbante, Freud e Kubrick. Ripensando “Shining”

Shining è un film che rientra nei canoni del genere horror affrontati in un’ottica freudiana: “Freud affermò che il perturbante costituisce l’unica sensazione che si provi con maggiore forza sia nell’arte sia nella vita. Se questo genere avesse bisogno di qualche giustificazione, credo proprio che questa basterebbe come credenziale”. Per perturbante si intende, citando Freud, “quando appare realmente ai nostri occhi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando il simbolo assume pienamente la funzione e il significato di ciò che è simboleggiato”.

“Vittoria” nella storia finta di una vita vera

Cassigoli e Kauffman filmano tutto come se fossimo in un documentario, pedinando i personaggi con camera a mano traballante quando sono in movimento, e passando dall’uno all’altro con messe a fuoco incerte durante i dialoghi. E se la convergenza fra documentario e fiction è una caratteristica precipua dei nostri anni, Vittoria ha un sapore ancor più marcato da “storia finta eppure totalmente vera”, con attori che portano in scena un re-enactment di snodi fondamentali della propria vita.

“Familia” tra sacrificio e castigo

Quella di Familia non è di certo una storia nuova o mai vista; tuttavia, è una storia, ahinoi, ancora molto radicata nella realtà e quindi ancora necessaria. Costabile mette lo spettatore di fronte alla distruzione, fisica ed emotiva, a cui la violenza domestica può condurre, oltre che alle conseguenze devastanti e ai danni irreparabili che tale persecuzione può provocare come in un tunnel in fondo al quale non si vede mai la luce.

Speciale “Joker – Folie à Deux” – Poetica del sabotaggio

Se Joker assassinava il cinecomic nell’anno della sua massima e irreplicabile espressione (2019), Joker: Folie à deux è la sua diretta implosione. Un (auto)sabotaggio, l’uccisione felice (non autocompiaciuta) del successo del suo archetipo. Un film lento, a tratti soffocante, pronto a sigillare tutte le vie d’uscita possibili, che non appena accenna a dispiegarsi trova il modo di accartocciarsi su se stesso.

Speciale “Joker – Folie à Deux” – Temerario ma goffo

La strada del musical suggeriva una certa temerarietà nell’intenzione di proseguire un progetto che con il film del 2019 sembrava avere già raggiunto il suo culmine. La virata verso un genere che inevitabilmente avrebbe portato con sé un elemento anomalo apriva a una serie di intriganti possibilità espressive. Eppure la dimensione spettacolare del musical resta perennemente isolata da tutto il resto e le esibizioni canore vengono relegate ad intermezzi avulsi da una struttura che fatica terribilmente nel trovare la spinta propulsiva agognata.

“Bestiari, Erbari, Lapidari” e il catalogo come comprensione umana

Bestiari, Erbari, Lapidari è un film che si pone da subito come un elenco: un titolo che è già un indice, un film che è già consapevolmente un catalogo. Massimo D’Anolfi e Martina Parenti sanno che si può partire solo con delle distinzioni precise. Se nel loro precedente Guerra e pace l’indice era temporale (passato remoto, passato prossimo, presente e futuro) qui è tipologico: Bestiari, Erbari, Lapidari. Una tautologia. Tre soggetti che rimandano a tre sfere, tre universi, tre dimensioni precise… universali, ma specifiche: animali, vegetali e minerali.

“Il tempo che ci vuole” e il ritratto amorevole del padre

I ricordi e le esperienze personali, prima di farsi prodotto artistico, hanno spesso bisogno di un lungo arco temporale per fermentare e trovare le parole e le immagini giuste per farsi racconto e storia universali. È quello che è accaduto a Francesca Comencini nella realizzazione di un film che è un atto d’amore verso il proprio padre. Infatti, oltre alla regia elegante e ordinata, a investire lo spettatore è una emozionalità potente che scaturisce da un sentimento profondo per una figura paterna caratterizzata dalla gentilezza e dalla bontà. 

“Wolfs” e il potere dell’alchimia

Vecchie glorie dei bei tempi andati? No, solamente vecchi. In tal senso, l’omaggio ai corpi di Clooney e Pitt è forse quanto di più semplice, elementare e sbagliato ci sia all’interno del film (siamo ancora fermi ai dolori alla schiena o agli occhiali da vista per proporre l’autoironia incentrata sulla decadenza fisica?), ma proprio per questo riuscito, poiché in grado di mostrare il fianco alla componente più umana e genuina che Watts vuole esaltare.

In ricordo di Maggie Smith

Maggie Smith è riuscita ad attraversare il cinema (e la televisione, e il teatro) con una leggerezza ironica, con un senso dell’umorismo vivace e brillante, che traspariva sempre, anche nelle interpretazioni drammatiche. Si potrebbe dire che è stata l’ultima delle attrici classiche e la prima delle grandi attrici moderne; un’interprete di solida formazione e di straordinaria finezza che ha saputo creare e mantenere la sua fama senza abdicare alla qualità dei ruoli, senza cedere mai alla maniera.

“La moglie dell’aviatore” dentro le traiettorie del cuore e del destino

Con La moglie dell’aviatore, Rohmer inaugura un esperimento antropologico (dopo la sociologia dei Sei racconti morali) costituito da una leggerezza formale e da una profondità di contenuti, in cui artificio e naturalezza si strizzano vicendevolmente l’occhio, basterebbe citare a tale proposito una delle ultime battute pronunciate da Anne: “La vita a me piace soprattutto quando assomiglia a un romanzo”.

“La bambina segreta” e lo spazio minato del mondo

È il regista-demiurgo a mettere in moto il meccanismo di inezie, a minare il set in cui si muovono gli attori, a disegnare l’apice della parabola drammaturgica nel confronto con il volto logoro del potere. A differenza però del successivo film del regista, Kafka a Teheran, il confronto si presenta non come un momento di liberazione, ma piuttosto come momento preparatorio. Se liberazione deve esserci, essa deve passare attraverso una presa di responsabilità personale.

Simbolismo queer nell’ombra di Lynch tra “Queer” e “Ho visto la TV brillare”

Queer e Ho visto la TV brillare sono quindi due film per certi aspetti comparabili, nonostante le differenze di storia, tono e sguardo autoriale: entrambi raccontano identità Lgbtq+ e, nel farlo, impiegano una modalità narrativa talvolta ermetica e straniante. Guadagnino lascia più zone d’ombra nell’interpretazione dei sogni e delle allucinazioni di Lee; Schoenbrun, invece, apre allo spettatore squarci perturbanti nella quotidianità dei suoi protagonisti.

Inventare Clint Eastwood (e inventare Sergio Leone)

Sergio Leone: “Andai a prenderlo all’aeroporto. Arrivò vestito col cattivo gusto degli studenti americani. Me ne fregavo. Erano il suo viso e la sua goffaggine a interessarmi. Parlava poco, come in Rawhide. Mi ha detto semplicemente: «Faremo un buon western insieme». Gli ho messo un poncho per ingrossarlo un po’. E un cappello. Nessun problema. Quadrava tutto, tranne che non aveva mai fumato. E si è ritrovato con un toscano in bocca, un sigaro duro e molto forte. Fu il suo unico calvario”. 

“Non aprite quella porta” e la bellezza dell’orrore

Nonostante la saturazione di un “marcio” che corrompe ogni cosa, Non aprite quella porta riesce a lasciarci radiose immagini simmetriche e visioni di sovrumana astrazione. Pur spazzando via qualsiasi illusione di cinema in posa, falsità da Studio e gusto conservatore della bellezza, il regista inietta una nuova, oscena concezione del Bello che si esprime nelle albe funebri, nelle danze folli e astratte di Leatherface, nel viso insanguinato di Sally, con una radicalità di cui pochi oggi sarebbero capaci.

“Vermiglio” alle radici del cinema olmiano

Maura Delpero attinge alle proprie radici per realizzare un film che vive una zona di mezzo tra un’epica di paese e un racconto di formazione famigliare. Il punto di partenza evidente è il ritratto etnografico dell’Olmi de L’albero degli zoccoli e alla funzione di dedizione a un mondo ormai perduto fatto di usanze, costumi, dialetti e al lavoro con gli attori non professionisti, aggiunge uno sguardo più ravvicinato sul piano intimo e sentimentale.

“Per un pugno di dollari” e la critica

La critica fu spiazzata dalla rivoluzione leoniana, e la famosa stroncatura di Mario Soldati aprì un periodo di feroce opposizione intellettuale alla violenza del western all’italiana. Poi nel tempo le cose sono cambiate, e quell’immoralità così indigesta fu compresa nella sua complessità e in un quadro di riferimenti culturali e sociali assai più ampi. 

“Madame Clicquot” e lo spirito della pioniera

Madame Clicquot  è un biopic immerso nei costumi e nell’ambientazione incline al vedutismo un po’ statico tipico dei period drama, tratto dal romanzo biografico The Widow Clicquot: The Story of a Champagne Empire and the Woman Who Ruled It della scrittrice e storica americana Tilar J. Mazzeo del 2009, che aveva già ispirato il musical di Broadway Madame Clicquot: A Revoluationary Musical.

“Linda e il pollo” senza graffi ma con spasso

I registi, il francese Sébastien Laudenbach e l’italiana Chiara Malta, raccontano con allegra esaltazione di una leggiadra uscita dalle norme, e del calore dei legami di quartiere fra palazzoni di periferia. Lo fanno con ampi e sparsi tratti, e definendo tutto mirabilmente col colore (Linda è interamente gialla, la madre arancione, e così via tutti i personaggi), quasi stessimo vedendo i disegni d’infanzia di Henri Matisse. 

“Love Lies Bleeding” speciale II – La violenza e l’estasi dell’amore “oltreumano”

Love Lies Bleeding è un titolo emblematico della sensuale corporeità e della sanguinosa (e sulfurea) violenza che intride la saffica relazione tra Lou e Jackie, ottenebrata dalla mefistofelica presenza di Lou Sr.., che le perseguita senza esclusione di colpi (di scena). Questo rapporto triangolare riecheggia Satan Watching the Caresses of Adam and Eve, una nota opera di Blake che illustra un episodio tratto da Paradise Lost, epico poema di John Milton.