“Les femmes au balcon” tra Hitchcock e Sciamma

Nel film di Merlant (presentato a Cannes 2024 e ora a Gender Bender 2024) è sempre la donna ad indirizzare lo sguardo, a riappropriarsi del suo potere. Le tre amiche sono soggetti attivi di visione e di erotizzazione dei corpi e la regista francese (che ha scritto il film con Céline Sciamma, con la quale aveva già lavorato sul set di Ritratto della giovane in fiamme e alla sceneggiatura di Parigi, 13Arr. di Audiard) mira a scardinare una rappresentazione ovattata, tradizionale, della donna, per renderla tridimensionale.

“Berlinguer – La grande ambizione” e la magnifica affabulazione

Il Berlinguer di Segre è uomo di ascolto e di parola. In un paese in cui si cominciano a manifestare le idee a voce alta e per slogan (negli ormai prossimi anni ’80 il marketing verbale sarà l’incipiente virus che contaminerà il linguaggio “governativo”) il leader del PCI, imperterrito, continua a scrivere (le ultime sequenze della pellicola lo mostrano mentre legge un’intima lettera all’amata moglie) e declamare meditate dissertazioni, semplici e di toccante profondità per empatia e capacità di osservazione.

“Duino” nel gioco di specchi delle identità

Il gioco di specchi tra Matías e il personaggio del suo film riflette meta-cinematograficamente la situazione di Juan Pablo Di Pace, che di Duino è protagonista ma anche sceneggiatore, co-montatore e co-regista insieme ad Andrés Pepe Estrada: Di Pace ha scelto la propria vita come soggetto del suo lungometraggio di debutto dietro la macchina da presa per raccontare quei sentimenti di incompiutezza e di potenzialità inespressa che hanno caratterizzato e caratterizzano tante “storie mancate” di giovani omosessuali, prigionieri di soffocanti culture etero-normative e di solidificati pregiudizi sociali.

“The Substance” e il ritorno del rimosso estetico

Se c’è un film recente che ha azzeccato in pieno l’aggiornamento del body horror al contemporaneo è questo. Vedersi invecchiare mentre il mondo si mostra perfetto, sentirselo ricordare dalla nostra stessa immagine congelata per sempre giovane in una foto profilo, sperimentare la scissione identitaria tra la facciata di bellezza ed equilibrio che proiettiamo e la sofferenza “dismorfica” che ne è l’ombra eternamente rimossa, ineliminabile e consustanziale.

“Carrie” e il potere dello sguardo

Tra l’horror e il teen movie, il primo film tratto da un romanzo di Stephen King ha il fascino del cult e un magnetismo capace di tenere col fiato sospeso intere generazioni di spettatori. Un cinema barocco, pieno di virtuosismi, a cui si ibrida una trascinante capacità di raccontare e rapire. Un’opera dove l’erotismo è palpabile, dove il rosso del sangue significa sessualità, maturazione, ma anche morte e dolore. Un film che sconvolge, ma dotato di una travolgente ironia macabra.

“The Dead Don’t Hurt” tra tradizione e modernità

Viggo Mortensen, a sessantacinque anni ma alla sola seconda prova da regista, dimostra una maturità artistica non comune, capace di muoversi tra tradizione e modernità all’interno di uno dei generi più codificati e, ormai, meno frequentati del cinema. The Dead Don’t Hurt è un’opera che attesta una coerenza artistica, per idee e loro realizzazione, di sicura maestria, in un momento storico in cui sovrabbondano i prodotti imprecisi, poco meditati e furiosamente dati in pasto al pubblico.

Il cinema al femminile alla Festa del Cinema di Roma 2024

L’edizione di quest’anno della Festa del Cinema di Roma sarà ricordata come un evento all’insegna del femminile. Non solo per i suoi vincitori (Bound in Heaven di Huo Xin nel concorso Progressive e Bird di Andrea Arnold ad Alice nella Città), ma soprattutto per un cinema al femminile inedito che si distacca dai messaggi urlati, dalle condanne generalizzate e dagli stereotipi post-patriarcali che frequentemente ci offrono le produzioni audiovisive, in particolare quelle delle piattaforme di streaming.

Un bilancio di Archivio Aperto 2024

L’archivio non è un tempo cristallizzato ma un tempo nuovo a ogni sua rievocazione. La possibilità di investire di sguardo nuovo ciò che appartiene al passato rivela non solo una pratica creativa stimolante ma un gesto necessario in un panorama saturo di immagini dove il confine tra verità e falsità diventa sempre più labile e il bisogno di orientarsi sempre più urgente. L’archivio è un materiale da risvegliare, solo apparentemente statico esso vive nel presente.

“C’era una volta in America” siamo noi. A 40 anni dal capolavoro di Leone

C’era una volta in America siamo noi. O, anche, chi ha già vissuto molte vite. Il passato visto dal futuro e il futuro visto dal passato. Ci siamo anche noi insieme a Noodles a succhiare dalla pipa il fumo del sogno, andando a letto presto per sfuggire ai fantasmi che ognuno di noi ha dentro, quelli dell’amore non corrisposto, della violenza, dell’amicizia, del tradimento, della vendetta, dei fallimenti e dei rimpianti.

“Parthenope” speciale II – Un cinema sfiduciato e pigro

Passano gli anni e con gli anni non passa, dopo ogni nuovo film di Sorrentino, l’impressione di un equivoco, scomodo e duraturo. Nonostante le dichiarazioni d’amore e le reiterate professioni di fede – dalle frasi testamentarie del regista interpretato da Harvey Keitel in Youth all’aforisma sul cinema che non serve a niente ma almeno distrae dalla realtà, perché “la realtà è scadente”, attribuito a Fellini in È stata la mano di Dio – quello di Sorrentino si è rivelato man mano un cinema sempre più sfiduciato e a volte, diciamolo pure, ingiustificatamente pigro.

“Parthenope” speciale I – L’opera-leviatano tra Napoli e il mondo

Se È stata la mano di Dio (2021) offriva allo spettatore una Napoli “vissuta da dentro”, filtrata dalla lente autobiografica alla maniera del suo nume Fellini, Parthenope torna sugli stessi temi con uno sguardo diverso, meno intimo ed estremamente più ambizioso. L’impressione è che stavolta Sorrentino miri (quasi melvillianamente) a scrivere il Grande romanzo della città, l’opera-leviatano in grado di esaurire un argomento contenendo in sé tutto il mondo, o almeno quel “mondo” che è Napoli.

Gli inizi di Chantal Akerman

Nell’estate del 1967 (appena diciassettenne), Akerman realizzò i cortometraggi Bruxelles, film 1, Bruxelles, film 2, Knokke, film 1 e Knokke, film 2, in formato 8mm e in bianco e nero. I lavori erano stati girati come prova per esame di ammissione all’INSAS di Bruxelles. che tuttavia la regista abbandonerà ben presto per intraprendere un percorso da autodidatta. In queste pellicole seminali, riemerse recentemente dall’oblio, si intravedono le tracce di uno sguardo avanguardistico al femminile

“Il seme del fico sacro” e il labirinto di un paese desertificato

Il seme del fico sacro tratteggia un passaggio epocale: la penetrazione di queste immagini negli spazi del potere grazie alle nuove generazioni iper-connesse, profondamente colpite dall’atrocità della violenza e sempre più insofferenti nei confronti di una spudorata propaganda televisiva che distorce la realtà. Il film stesso integra nel suo tessuto narrativo le immagini di rivolta non tanto per validare la finzione, ma per elevarsi alla loro altezza spirituale, per assumere la stessa funzione di arma della resistenza al regime.

“Blitz” teso verso il bene comune

A differenza di Nolan, è evidente che a McQueen non interessano i dubbi amletici del soggetto. Il montaggio non emerge da una psiche frastagliata, ma da una realtà frammentata, intrisa di divisioni e conflitti, su cui è essenziale prendere posizione. Per questo, il film si popola di figure talvolta monodimensionali, quasi caricaturali, eccessivamente sentimentali, ma che, nel momento della catastrofe, non si fermeranno nel panico a ponderare il bene e il male; si muoveranno, invece, per il bene comune, compiendo un gesto liberatore.

“Megalopolis” e l’utopia egualitaria

Il film, però, impone anche e soprattutto una riflessione sulle somiglianze tra passato e presente – vale a dire, tra la corruzione dilagante nelle ultime fasi della Repubblica romana e l’America di oggi, già in mano a pochi che decidono per tutti. La Storia racconta che Catilina perse e fu ucciso, mentre Cicerone sopravvisse. Ma se è il vincitore a raccontare la storia, obietta, come possiamo sapere che ciò che Catilina aveva in mente per la nuova società non fosse un riassetto di coloro che detenevano il potere?

“Full Metal Jacket” nel nuovo ordine mondiale

Se paragoniamo, come ci sembra sensato fare, il recinto che separa gli Höss dal campo di Auschwitz ne La zona d’interesse alla caserma di Kubrick, notiamo come lo spazio e i personaggi che lo abitano siano esplorati in modo completamente diverso. Nel primo, le macchine da presa nascoste e dislocate in casa e giardino nell’architettura alla Grande fratello pensata da Glazer, nel secondo quanto detto sopra. Finalità di entrambi: disumanizzarci precipitandoci nella disumanizzazione altrui.

“Ieri, oggi, domani” e il realismo “de core” all’italiana

Dal carosello napoletano in cui annaspa la “sigarettara” Adelina, di gravidanza in gravidanza, all’episodio on the road lungo la Milano-Laghi, fino all’iconica storia di Mara, prostituta d’alto bordo in cerca di redenzione, il film crea una vivida rappresentazione della vita urbana del belpaese, passando dal colore acceso partenopeo al manierismo romano (a cui una mano hanno dato Giuseppe Rotunno con le sue cartoline capitoline e la straripante Sophia Loren che manda in estasi Mastroianni sulle note di Abat-Jour nella celebre scena dello striptease). 

Chi è Renzo Renzi? Ritratto di vita a 20 anni dalla morte

Renzo Renzi è stato un maestro indiscusso della polemica intesa come forma di animazione culturale volta a provocare un dibattito il più ampio possibile su questioni sociali, economiche, politiche e culturali di scottante attualità ma generalmente ignorate per mancanza di informazione, indifferenza, ipocrisia, quieto vivere, malafede, fanatismo, disonestà intellettuale e convenienza politico-ideologica e/o economica.

“All We Imagine as Light” in egual misura tra desiderio e solitudine

All We Imagine as Light, secondo film della regista Payal Kapadia, è una delle migliori pellicole dell’anno. Nonché una delle più originali degli ultimi anni, premiata meritatamente con il Grand Prix Speciale all’ultimo Festival: è una storia universale che mette al centro della sua indagine in egual maniera il desiderio e la solitudine, attraverso la parabola di tre donne che, messe da parte le relative differenze, stringono un’alleanza che va al di là della parola “amicizia”.

Un bilancio delle Giornate del Cinema Muto 2024

Con più di 200 titoli fra lungometraggi e cortometraggi pervenuti dagli archivi internazionali per l’autunnale full immersion riservata a studiosi e appassionati da ogni parte del mondo non c’è dubbio che le ormai mitologiche Giornate del Cinema Muto di Pordenone, giunte alle 43a edizione e dirette da Jay Weissberg, godano di ottima salute e costituiscano una esperienza cinefila unica nel suo genere.

Cara Sophia… sei una canaglia! Lo scambio epistolare Blasetti/Loren

Di Sophia, Blasetti ha afferrato immediatamente le potenzialità; dietro la bellezza prosperosa, una donna con tutte le qualità per diventare un’attrice di prim’ordine. Blasetti ne è completamente soggiogato. Lo scambio epistolare tra il regista e Sophia Loren nel corso del 1957, all’indomani del successo di Peccato che sia una canaglia (1954) e di La fortuna di essere donna (1956), mette in scena un Blasetti inedito, geloso, ferito nell’amor proprio dall’aver scoperto che in un’intervista, lei ha dichiarato che tra le sue interpretazioni preferite c’è la pizzaiola di L’oro di Napoli (1954).