Ambientazioni rurali dalle atmosfere cupe e brumose, una donna con un trauma irrisolto nel suo passato e un serial killer che lascia messaggi in codice: se amalgamati bene, possono diventare gli ingredienti giusti per la ricetta del thriller perfetto. E Oz Perkins, con Longlegs alla sua quarta prova dietro la macchina da presa, non solo sa come unirli bene, ma riesce anche a contaminarli con l’horror e il soprannaturale, in un composto che rilascia gradualmente il suo potere perturbante e sinistro.
Maika Monroe, volto già noto dell’horror contemporaneo (It Follows, Watcher), veste i panni dell’agente FBI Lee Harker, a cui, grazie ad una presunta chiaroveggenza, viene affidato il caso Longlegs, nome che, da una trentina di anni a questa parte, firma lettere in codice ritrovate sul luogo dei massacri di intere famiglie.
Le uccisioni seguono uno schema ricorrente: il padre uccide moglie e figli per poi suicidarsi. Non è l’unico elemento che si ripete: numerologia e simbologia occulta diventano da subito elementi chiave nello schema degli omicidi-suicidi, e la meccanica con cui gli stessi vengono effettuati non può che adombrare l’ipotesi un agente sovrannaturale. Così le campagne dell’Oregon, con le loro fattorie disabitate e isolate, diventano sfondo perfetto di una macabra caccia al tesoro, basata sugli indizi lasciati da Longlegs, che assume i connotati di un folk horror in cui simboli cristiani e satanici si fondono inestricabilmente.
Se negli omicidi-suicidi è sempre il padre a uccidere il resto della famiglia, è possibile notare come nella famiglia di Harker manchi senza dubbio la presenza di una figura paterna e come la madre sia una cristiana devota. Elementi che non si limitano a contribuire alla caratterizzazione di un personaggio tormentato e con un passato oscuro, perno centrale di molte narrazioni horror, ma diventano fondamentali per la costruzione del perturbante (l’unheimlich freudiano, letteralmente “ciò che non è familiare”), inteso come qualcosa di familiare ed estraneo al tempo stesso, come il passato rimosso di Harker, il suo ricordo sbiadito di Longlegs che però riaffiora a distanza di anni, sinistro ma familiare al tempo stesso.
E il perturbante si concretizza nella figura delle bambole dalle fattezze umane, che Longlegs regala alle sue vittime e che, tramite la loro somiglianza, creano un Doppelgänger maligno, un doppio malvagio e letale. Harper è così la protagonista e la vittima al tempo stesso, conduce un’indagine a cui non è estranea ma in cui è totalmente coinvolta, secondo stilemi del thriller ma anche dello slasher, in cui sarebbe una final girl.
Longlegs attinge al repertorio dei thriller paranormali e degli horror sulla possessione demoniaca, creando però una messa in scena elegante e consapevole del gusto contemporaneo (si pensi alle interpolazioni di immagini slegate dal tessuto narrativo, flashback-lampo che arricchiscono l’impianto visivo del film) che però su di esso non indugia troppo (non ricorre mai, per esempio, all’uso di musica pop per creare una dissonanza con la scena visualizzata) per concentrarsi invece su una costruzione magistrale della suspense, con un avvicendarsi serrato degli eventi e pressoché nessuna diminuzione della tensione.
L’elemento più pop di tutto il film è dato da Longlegs stesso, o meglio, dal fatto che a interpretarlo sia un Nicolas Cage tanto irriconoscibile quanto calato nel ruolo di un servitore del “Signore del piano di sotto”, in cui l’aspetto fisico esuberante e clownesco si sovrappone ad una caratterizzazione estremamente inquietante del personaggio, reminiscente dell’It kingiano. Protagonista anche della scena finale del film – l’unica forse ad essere caratterizzata da una vena dissacrante e umoristica – il personaggio interpretato da Cage ha tutte le carte in regola per entrare nell’olimpo dei serial killer cinematografici.
D’altra parte Longlegs si conferma come un horror vecchia scuola, in cui non si cerca di dare una spiegazione razionale ai fatti, ma, al contrario, viene ribadito, con rinnovato vigore, un concetto atavico come quello che il male non si può eliminare né comprendere razionalmente, smorzato dalla validità di un vecchio consiglio popolare: meglio non far entrare degli sconosciuti dento casa. Né tantomeno accettare regali da parte loro.