Wim Wenders on the road

“Molti dei miei film iniziano con delle mappe stradali invece che con delle sceneggiature. A volte è come volare alla cieca, senza strumenti. Voli per tutta la notte e al mattino arrivi da qualche parte. Vale a dire: devi provare ad atterrare da qualche parte, così il film può finire.
Paris, Texas è venuto fuori in modo diverso dai miei film precedenti. Ancora una volta, abbiamo volato tutta la notte senza strumenti, passando attraverso qualche tempesta, ma questa volta siamo atterrati esattamente dove intendevamo” (Wim Wenders).

“Paris, Texas” e la critica

“Come spesso in Wenders il viaggio geografico è insieme viaggio interiore, alla scoperta di sé e dei propri sentimenti, affrontati con una semplicità capace di riscattare un’emotività tanto diretta da sembrare anche banale (come a volte nei testi di Sam Shepard che co-sceneggia) ma che sa toccare temi centrali come la solitudine, il senso di abbandono, il perdono di sé, la redenzione. Grazie anche alla prova perfetta di Harry Dean Stanton e della ventiduenne Nastassja Kinski” (Paolo Mereghetti).

“Carrie” e il potere dello sguardo

Tra l’horror e il teen movie, il primo film tratto da un romanzo di Stephen King ha il fascino del cult e un magnetismo capace di tenere col fiato sospeso intere generazioni di spettatori. Un cinema barocco, pieno di virtuosismi, a cui si ibrida una trascinante capacità di raccontare e rapire. Un’opera dove l’erotismo è palpabile, dove il rosso del sangue significa sessualità, maturazione, ma anche morte e dolore. Un film che sconvolge, ma dotato di una travolgente ironia macabra.

Inventare Clint Eastwood (e inventare Sergio Leone)

Sergio Leone: “Andai a prenderlo all’aeroporto. Arrivò vestito col cattivo gusto degli studenti americani. Me ne fregavo. Erano il suo viso e la sua goffaggine a interessarmi. Parlava poco, come in Rawhide. Mi ha detto semplicemente: «Faremo un buon western insieme». Gli ho messo un poncho per ingrossarlo un po’. E un cappello. Nessun problema. Quadrava tutto, tranne che non aveva mai fumato. E si è ritrovato con un toscano in bocca, un sigaro duro e molto forte. Fu il suo unico calvario”. 

“Freaks”, le sequenze tagliate e la maledizione del film

In mancanza di documenti che comprovino quali siano stati in modo circostanziato i tagli inferti al film, sono state avanzate varie ipotesi. Secondo Fabrice Ziolkowski, “queste scene erano più esplicite sulla sorte di Hercules, l’uomo forzuto. Dato che il film insisteva sul tema della castrazione (corpi mutilati, deformati), sembra il risultato di un’azione censoria il fatto che, nelle copie attuali, Hercules appaia nella scena in cui urla vedendo avvicinarsi i membri del circo armati di coltelli e di altri strumenti da taglio, e poi la sua sorte sia lasciata così in sospeso”.

“Buena Vista Social Club” come musical alternativo

C’è una luce salvifica nei luoghi ripresi dal regista tedesco, che li consegna ad un’“archeologia del futuro” grazie ad uno sguardo cinematografico che attraversa, sospeso, un gelido passato, un appassionato presente e un domani che non sembrava essere così epico e colorato. Le nuance di stili, di toni, che ammiriamo nelle strutture architettoniche/teatrali, persino negli edifici abbandonati o nei murales, e che ascoltiamo nelle melodie di brani che fermano istanti seducenti, non possono che invitarci a sognare da partecipi spettatori di un decadente (e alternativo) musical hollywoodiano.

“Il giardino delle vergini suicide” e l’adolescenza come soggettività

Ad essere in gioco è la dimensione della scelta che è negata alle protagoniste, rinchiuse in casa come la Priscilla dell’ultimo film della regista. Una scelta legata non solo alla condizione adolescenziale, ma anche, e forse soprattutto, ad una questione di genere. I personaggi di Coppola sono quasi sempre figure femminili che agiscono per raggiungere una liberazione sia fisica che spirituale.

“Persepolis” e la genesi del film

“Scrivendo i libri, ho dovuto ripercorrere sedici anni della mia vita, comprese le cose che avrei decisamente preferito dimenticare. È stato un processo molto doloroso. Avevo il terrore di cominciare a scrivere la sceneggiatura, e non avrei potuto farlo da sola. La parte più difficile è stata cominciare, e prendere le distanze dalla storia in prima persona. Abbiamo dovuto ripartire da zero per creare qualcosa di diverso, ma con lo stesso materiale” (Marjane Satrapi).

“Persepolis” e la critica

In occasione della distribuzione di Persepolis in versione 4K per il progetto Cinema Ritrovato al Cinema, offriamo una breve antologia critica dedicata al capolavoro di Marjane Satrapi. Un film che è “il viaggio magico e commovente di una ragazza alla scoperta di se stessa, della propria voglia di restare integra e coerente, e insieme l’esperienza (da parte dello spettatore) di un modo di rappresentare e raccontare la realtà lontano dalla verosimiglianza troppo invadente di oggi e vicinissimo alla poesia e alla vera arte”.

“La signora della porta accanto” e la critica

Parola a Serge Daney: “Se La signora della porta accanto è un film così riuscito e, alla fine, così commovente, è perché Truffaut, nemico dell’esibizionismo delle passioni e delle idee, uomo della giusta misura e del compromesso, cerca questa volta di filmare il compromesso stesso, di farne la materia, la forma stessa del film. La scommessa di Truffaut è uscire da La camera verde, mescolare la sceneggiatura Hyde (la passione morbosa e privata) e la sceneggiatura Jekyll (gli altri, la vita pubblica) senza che l’una prevalga sull’altra, senza che lo spettatore debba scegliere fra le due”.

“The Dreamers” e la cinefilia morbosa

A metà fra Prima della rivoluzione e Ultimo tango a Parigi, The Dreamers è un racconto sul suicidio dell’utopia, su passioni ingenue vissute ingenuamente, in cui i personaggi cercano disperatamente di esprimersi attraverso i corpi, morboso come solo le migliori opere di Bertolucci. Perfino la cinefilia dei personaggi è malsana e diventa uno strumento di ricatto, un pretesto per giocare a fare i sadici umiliando sessualmente chi non coglie la colta citazione cinematografica di turno.

“The Dreamers” e la critica

Anche per il nuovo film del progetto Cinema Ritrovato al cinema offriamo un assaggio della sua accoglienza critica. Perché, come scrisse Ida Dominijanni, “nei Dreamers non c’è il Progetto rivoluzionario, non c’è l’unità operai-studenti, non c’è l’internazionalismo contro il Capitale: c’è il momento aurorale appunto, in cui tutto questo è ancora a venire, e una più grande ‘pulsione visionaria utopica’ lo rende possibile, pensabile, fattibile. Corpo, politica, cinema, musica, sessualità, filosofia: erano questi gli ingredienti di quel ‘focolaio magico’ che preparò l’esplosione del Sessantotto nella vita pubblica come in quella privata”.

“Io ti salverò” e la sua genesi. Testimonianze e ricostruzione

Era, come dirà Hitchcock a Truffaut, “un romanzo melodrammatico e realmente folle che raccontava la storia di un pazzo che s’impadroniva di una clinica di pazzi! Nel romanzo, perfino gli infermieri erano dei pazzi e facevano ogni sorta di cose! La mia intenzione era più ragionevole, io volevo soltanto girare il primo film di psicoanalisi”. Il regista decide di conseguenza di mantenere in piedi soltanto la cornice ambientale, qualche situazione e qualche personaggio e poi cambiarne completamente la struttura narrativa.

“Io ti salverò” e la critica

Riscoprire Io ti salverò. L’antologia critica offre tanti spunti. Come scrive Dave Kher: “Lo sgargiante freudismo di questo film di Hitchcock del 1945, sostenuto da una sequenza onirica ideata da Salvador Dalí e una roboante colonna sonora di Miklós Rósza, può renderlo difficile da apprezzare, ma al di sotto della superficie c’è un intrigante studio alla Hitchcock sul ribaltamento dei ruoli, con medici e pazienti, uomini e donne, madri e figli che capovolgono le relazioni assegnate, con risultati avvincenti e sovversivi”.

Dude, Walter e altre storie. Nascita di un cult

Spesso mi chiedono se non sia sorpreso della quantità di attenzione che Il grande Lebowski ha ricevuto negli ultimi anni. Generalmente sembrano aspettarsi che io dica “sì”, ma la mia risposta è sempre “no”. Quello che mi sorprende è che non abbia avuto il successo che pensavo quando è uscito. Era così divertente, e i fratelli Coen avevano appena vinto l’Oscar con Fargo: pensavo che la gente avrebbe fatto la coda ai botteghini. A dire la verità, ero piuttosto deluso. Ma adesso… beh, sono felice che venga apprezzato, che abbia trovato il suo pubblico.
(Jeff Bridges)

“Il grande Lebowski” e la critica

Dude e i suoi compagni si confrontano sulla risposta appropriata all’aggressione e sulla definizione stessa di virilità. I Coen suggeriscono ripetutamente – in un modo che è diventato uno dei loro tratti distintivi, mascherando la sincerità con lo sberleffo – che Il grande Lebowski ruota intorno alla domanda “Che cosa fa di un uomo un uomo?” e che Dude è “l’uomo al posto giusto nel momento giusto” – un improbabile rappresentante della virilità e della virtù che si pone in netto contrasto, ma non può correggere, i valori corrotti della sua epoca (Marc Singer, dall’antologia critica). 

“Il grande Lebowski” dentro al serbatoio dei generi

I generi, per i Coen, non sono che un grande serbatoio di temi e figure da cui attingere per ricreare qualcosa di segno completamente differente: una rilettura comica dei generi classici hollywoodiani (oltre che dei miti della cultura americana, a partire da quello dell’eroe). Il grande Lebowski è una commedia costruita come un noir che cita e allude ad altri generi, dal western, evocato nell’incipit e nella figura dello Straniero, al musical, a cui s’ispirano le sequenze oniriche.

“Il cielo sopra Berlino” nelle parole di Wim Wenders

Racconta Wenders: “Io ho provato un desiderio, e mi è balenata la luce di un film a Berlino, e quindi anche su Berlino. Un film che potesse dare un’idea della storia di questa città dalla fine della guerra. Un film che riuscisse a far lievitare, a palesare nelle sue immagini ciò che in tante pellicole ambientate qui manca, ma che appena si arriva in questa città sembra esser lì davanti ai tuoi occhi in modo così tangibile: un insieme di sensazioni, certo, ma anche un qualcosa nell’aria, che senti sotto ai tuoi piedi, che ritrovi nei volti degli altri; insomma tutto ciò che fa la differenza tra vivere a Berlino e in un’altra città”.

“Il cielo sopra Berlino” e la critica

Un assaggio dell’entusiasmo critico che Il cielo sopra Berlino suscitò all’uscita: “Si viene sedotti dall’incantesimo di questo film. Scorre lentamente, ma non si diventa impazienti, perché non c’è una trama vera e propria, e quindi non ci si preoccupa di passare alla prevedibile tappa successiva. È una pellicola sull’essere, non sul fare. Crea uno stato d’animo di tristezza e isolamento, di desiderio, di transitorietà delle cose terrene. Se l’essere umano è l’unico animale che sa di vivere nel tempo, il film tratta di questa consapevolezza” (Roger Ebert). 

“Una storia vera” e la critica

Tornato nelle sale con grande successo, Una storia vera di David Lynch rappresenta uno dei titoli più atipici – e al contempo intimamente lynchani – della sua carriera. Ripercorriamo le reazioni critiche in questa breve antologia. Come scriveva Vincenzo Buccheri: “Lynch sceglie la vecchiaia al posto della gioventù, la lentezza invece della velocità, il progetto al posto della deriva. Sotto l’apparente dolcezza, The Straight Story è un film sulle cose per cui vale la pena di vivere”.

 

Caméra-car-stylo. La libertà stilistica di “Caro diario”

Nuova carrellata antologica di scritti su (e di) Nanni Moretti in occasione dell’uscita del restauro 4k di Caro diario. Come scrive Morando Morandini: “Chi, se non l’Antonioni di L’avventura – ma è solo un esempio – ha avuto un occhio così, a dimostrazione che la fotografia non è soltanto tecnica di riproduzione della natura, ma visione e interpretazione del mondo? Nella sostanza, però, Caro diario non è narcisista. Moretti rischia di trovarsi addosso l’etichetta dell’autobiografismo che fu attaccata a Fellini. La morte di Pasolini è un vuoto che tocca molti di noi, una bella minoranza. Quel che racconta o inventa corrisponde alla realtà”.