Il carretto fantasma è un film cardinale all’interno della produzione svedese ed è stato anche quello che ha saputo aprire le porte di questi film verso l’estero. Dalla seconda metà degli anni '10 il cinema locale era andato infatti raggiungendo vette sempre maggiori, ma solo di rado aveva lasciato la patria complice, secondo Idestam-Almquist, l’opposizione nei confronti di film stranieri durante il periodo bellico. Questo è però un momento magico perché, complice l’apertura de nuovi studi Svensk Filmindustri a Råsunda, nel nord di Stoccolma, è finalmente possibile osare di più a livello sperimentale. Victor Sjöström può quindi girare Il carretto fantasma senza dover scendere a compromessi per dare libero sfogo alla sua espressività. Il testo, tratto da un’opera Selma Lagerlöf che sembra avere echi del dickensiano Canto di Natale, era infatti molto caro a Sjöström perché gli riportava alla mente alcuni traumi subiti.
In breve, il film è incentrato sulla leggenda secondo cui l’ultima persona a morire nella notte di capodanno viene condannata a diventare cocchiere del carro della morte per un anno. Vittima prescelta è David Holm (Sjöström stesso) che in vita si è comportato in maniera indecorosa sfogando la sua rabbia sulla moglie e sui figli ma soprattutto ignorando gli appelli accorati per la redenzione della giovane Edit, membro dell'esercito della salvezza. Ma tutto può cambiare perché proprio Edit, in letto di morte per una tisi fulminante presa proprio da David, crede ancora nel cambiamento di David. Assistito dal vecchio carrettiere, l'uomo rivive il suo passato e scopre le tragedie che, a causa sua, stanno per avvenire nel presente e finalmente si pente promettendo di cambiare totalmente la sua vita.
Sjöström vede nella Signora Holm il ritratto della madre, attrice costretta a passare dagli agi alla vita da domestica a causa del disastro finanziario combinato presumibilmente dal padre. L’amata madre sarebbe poi morta lasciando il posto ad una matrigna con cui il regista, che non aveva neanche dieci anni, avrà un rapporto molto burrascoso tanto da spingere il padre a mandarlo dalla nonna. Nel caratterizzare i personaggi, il regista svedese usa un approccio naturalista e riesce, privando totalmente David di trucco e con atteggiamenti irridenti e meschini, a costruire un personaggio molto forte nella sua meschinità. La cura nei dettagli è manicale e si realizza nella ricerca di gesti ed espressioni ricorrenti che servono a dare maggiore spessore ai diversi personaggi.
L’elemento centrale che ancora oggi lascia stupefatti è rappresentato dall’effetto ectoplasmatico reso, non senza grandi difficoltà tecniche, arrivando a imprimere la pellicola fino a 4 volte. Vedere il carretto fantasma scorrazzare nel mare e il suo cocchiere andare fin sotto l’acqua per prendere i defunti fa ancora tantissimo effetto. Gli effetti sono poi amplificati dalla scelta di fare sequenze di immagini molto rapide con continui cambi di angoli visuali che passano continuamente da campi lunghi, medi e primi piani per una durata media, a volte forse fin troppo risicata, di 5/6 secondi.
Il film, come detto, fu un successo pur se Sjöström avea preso il rischio di mantenere un elemento discusso dell’opera della Lagerlöf, ovvero il ricorso a tanti flashback che servono a svelare piano piano il passato di Davi Holm. Se per il romanzo questo era un limite perché spezzava il ritmo narrativo, nella versione cinematografica diventa invece un espediente per rendere più interessante la narrazione. Non a caso il successivo adattamento di Duvivier del 1939, che segue le vicende cronologicamente, perde forse di mordente rispetto alla nostra versione muta.