Storia d’amore e tradimenti, di amicizia e di idealismo, di cambiamenti e speranze deluse, C’eravamo tanto amati resta uno dei grandissimi film della cinematografia italiana, un capolavoro che non invecchia. Certamente il restauro in 4K operato dalla Cineteca Nazionale nel 2016 permette allo spettatore di oggi di godere di una pulizia dell’immagine che rende giustizia al lavoro di Ettore Scola e del direttore della fotografia Claudio Cirillo (ad esempio, il lavoro sulla luce nelle scene in cui il mondo si ferma per lasciare i personaggi liberi di esprimere i loro pensieri è davvero notevole, così come nella sequenza in cui Gianni parla con la moglie defunta), ma è l’intrecciarsi delle vicende personali dei protagonisti con il flusso della Storia del nostro Paese a rendere sempre attuale la pellicola, sono i caratteri dei personaggi ad essere eterni e riconoscibili nel nostro presente come in ogni presente che l’Italia ha attraversato dal 1974 ad oggi (e che attraverserà domani). Del resto, Romolo Catenacci, il personaggio-maschera interpretato dallo strepitoso Aldo Fabrizi in una delle sue più memorabili apparizioni cinematografiche, esclama tossendo: “Io nun moro!”, proprio a significare che certi “caratteri” sono insiti nel nostro DNA.
Il discorso infatti non vale solo per il palazzinaro nostalgico del fascismo ma è estendibile all’intellettuale che non trova il proprio posto nella società (il Nicola di Stefano Satta Flores), all’avvocato che, compromesso dopo compromesso, si ritrova lontano anni luce dagli ideali per cui aveva combattuto (Gianni/Vittorio Gassman), al bonario infermiere (Antonio/Nino Manfredi) che paga professionalmente la sua adesione alla politica socialista, ma che viene ricompensato con il coronamento del suo sogno d’amore con Luciana (Stefania Sandrelli). Sono personaggi complessi, sfaccettati, reali: evoluzioni dei protagonisti di una commedia all’italiana che pare guardare ai decenni precedenti proprio come i protagonisti di questo film, alla ricerca delle proprie radici e di una comprensione dei cambiamenti che hanno portato l’Italia a essere quello che è. C’eravamo tanto amati si rivela dunque non soltanto un film sulla Storia ma un film sul cinema.
A causa dello spirito impegnato e riflessivo di cui è intrisa l’opera, che pure presenta momenti divertenti, nonché dello sguardo quasi malinconico e rassegnato che la domina, il produttore Adriano De Micheli (presente in sala per introdurre la proiezione) si ritrovò ad essere anche l’unico distributore della pellicola dopo la defezione della Titanus, che voleva distribuire una più classica commedia sulla scia di Dramma della gelosia. È alla sua “incoscienza data dalla gioventù” che dobbiamo quest’opera meravigliosa in cui si raccontano trent’anni di storia politica, sociale e cinematografica dell’Italia. Gli omaggi espliciti al Neorealismo (di cui Nicola è un appassionato studioso); le partecipazioni di Fellini e Mastroianni nei ruoli di loro stessi; la rielaborazione e attualizzazione della poetica di Antonioni per descrivere il rapporto di Gianni con la moglie Elide (Giovanna Ralli); l’alterazione del flusso temporale che scardina le convenzioni narrative; gli sguardi in macchina che interpellano lo spettatore coinvolgendolo nell’affabulazione; l’apparizione di Vittorio De Sica che, come un’epifania portatrice di verità, conferma l’esattezza della risposta che Nicola aveva dato anni prima a Lascia o raddoppia?: tutto ciò dimostra come la settima arte sia uno dei perni di questo capolavoro, attraverso il quale ci dice con forza: “Io nun moro!”.