Le tre pellicole originali erano andate distrutte in un incendio nel 1993. Stelle perse per sempre in un minuto. Per fortuna ne sopravvivevano alcune copie, a partire dalle quali il restauro è stato finalmente effettuato. Ed è tra i migliori di quest’anno, prova dell’impegno e dell’amore di chi ha accettato un simile onere meritandosi la gratitudine di ogni appassionato di cinema. Rileggiamole in ordine.
PATHER PANCHALI (Song of the little road/ Il lamento sul sentiero)
Con questo film del 1955, diretto dall’esordiente Satyajit Ray, il cinema indiano salutò la nascita del suo primo grande autore. Il miglior battesimo che si possa sognare, e alla sua uscita Il lamento sul sentiero conquistò consensi unanimi tra il pubblico e la critica di tutto il mondo; aveva avuto una gestazione travagliata, capace di impegnare per anni tutte le risorse del suo giovane regista. Portarlo a termine fu per Ray una sfida e una scommessa ma dopo sessant’anni siamo ancora qui a parlare del suo film, come di un classico e di un grande capolavoro.
Il lamento sul sentiero è figlio del Neorealismo, da cui impara a fare di necessità virtù (la produzione non era sicuramente ricca) e da cui eredita l’ingannevole semplicità del racconto e dei personaggi: segue giorno per giorno la vita di una famiglia Bengalese sempre sul filo del rasoio a causa della povertà e della fame. Harihar è un sacerdote dal sorriso intramontabile che raggranella qualche soldo scrivendo per il teatro, Sarbojaya lavora incessantemente in casa. Hanno una bimba, Durga, e c’è anche una vecchia zia inferma. Apu è l’ultimo ad arrivare, destinato a incontrare ancora bambino la paura e la vergogna, persino la morte.
Proprio per i suoi occhi passano tutti gli snodi principali del film, di cui non è quasi mai protagonista ma sempre testimone silenzioso, e che concorrono a farne una delle figure infantili più complesse della storia del cinema. In quei pozzi neri corrono giorni di privazioni e rinunce, ma anche momenti di amore e di solidarietà. La sorella Durga ruba i manghi nel giardino dei vicini per dar da mangiare alla vecchia zia, attirando su di se’ e sulla madre l’astio delle donne del villaggio; quando addirittura viene accusata del furto di un monile, Sarbojaya la trascina nel cortile polveroso tirandola per i capelli fino a farla piangere; Apu, in silenzio, assiste; quando vicino a casa passa l’uomo dei dolci Durga e Apu seguono il suo grido fino alle case dei più ricchi, dove tutti tranne loro si ingozzano. E ancora lo seguono come il serpente segue il flauto dell’incantatore. Che sia questa la canzone del sentiero? Il camminare, il cercare, magari soffrendo ma senza poterne fare a meno? La povertà come l’infanzia, un’ipnosi che impedisce di andare lontano ma non di guardare; e Durga e Apu guardano passare i treni, sognano una vita fuori dal villaggio, patiscono la fame senza mai un lamento, sorridono. Il magico sitar di Ravi Shankar, come su zampe d’insetto, li segue dappertutto.
Che Apu sia un personaggio vero, verrebbe da dire una persona, lo dimostra il suo atto finale. Una polmonite si porta via sua sorella, gettando un’ombra nera sulla casa e su tutto il villaggio. Apu trova la collana che Durga aveva rubato e senza pensarci due volte la getta in uno stagno. Il villaggio piange la piccola ladra e noi piangiamo con loro. Apu, sempre serio, forse fissa anche noi.
APARAJITO (The Unvanquished/ L’invitto)
Aparajito è il capitolo centrale, incaricato di traghettare Apu verso la maturità. In apparenza gli elementi basilari del primo film restano invariati: una narrazione lineare, personaggi estremamente verosimili, ritmo lento ma spezzato occasionalmente anche con violenza, colonna sonora che riprende i temi già ascoltati in Il lamento sul sentiero.
In realtà, la differenza si avverte bene. Il personaggio cresce, affronta gli anni dell’adolescenza, e l’India di Ray cresce assieme a lui passando dall’ambiente limitatissimo del villaggetto bengalese alla forza delle vedute del Gange e delle strade cittadine gremite. Adesso Ray può sfogare il suo talento pittorico (aveva studiato Arte), che aveva saggiamente tenuto a freno nel primo film. Se prima rifuggiva i paesaggi preferendo chiudersi nel poco spazio di due strade sterrate, ora mostra il paese in tutta la sua bellezza.
Non è un idillio, però, e tanta meraviglia è accompagnata dalla paura. I genitori arrancano alle spalle di Apu, sempre più lontani e consapevoli di non poterlo fermare; la morte che colpisce ancora sembra la diretta conseguenza di questa perdita di controllo, e questa volta Apu resta solo. Sempre solo con noi, beninteso.
APUR SANSAR (The World of Apu/ Il Mondo di Apu)
A chiudere la trilogia è Il Mondo di Apu, che definisce ulteriormente il personaggio; un film che in un certo senso “gira in tondo”. A compiersi non è solo una vicenda, ma un vero e proprio ciclo. Apu, ormai adulto, affronta un incredibile processo di autonegazione: spreca il suo talento di scrittore, ironizza con cattiveria su se’ stesso, trascura i pochi amici; Quando per caso si ritrova sposato, a sorpresa scopre l’amore. In questo caso la capacità di sintesi di Ray è sbalorditiva, riuscendo come fa a costruire in meno di mezz’ora una vicenda romantica coinvolgente oltre ogni dire. Si tratta di delicatezza, di minuscoli tasselli attentamente ricomposti assieme, di un rapporto del tutto particolare con i due attori.
Quando Apu incontra la Morte per l’ultima volta, ci sarebbe lo spiraglio per una ripresa. Sua moglie muore nel dare alla luce un bambino, e proprio questo potrebbe essere la salvezza per il disilluso scribacchino. Ma Apu, ormai folle per il dolore, sceglie di abbandonare il figlio appena nato e di sparire lontano, quasi incolpando il bimbo della sua perdita. Dopo aver tracciato, nel corso di tre film, un ritratto con pochi eguali di questo personaggio tanto bizzarro e profondo, Ray non lo lascia però appassire in un limbo. Apu è ancora il bambino che coprì il crimine di sua sorella nel giorno della morte, è ancora l’Invitto, e deve tornare. Quel che aveva lasciato sul sentiero, lo ritrova nella figurina torva del figlio rinselvatichito ed aggressivo. Che gli corre incontro per seguirlo lontano.
Lorenzo Meloni