“Questa volta acciuffo finalmente l’eroe della mia vita. Fin dall’adolescenza questa passione non mi ha mai lasciato”. Commenta così Yves Jeuland la scelta di incentrare il suo nuovo documentario su Yves Montand nel doppio ruolo di icona personale del regista e popolare. L’entusiasmo e l’ammirazione per il divo Montand si colgono dietro ogni scelta di fotografia, sequenza e testimonianza. Combinati con un lavoro critico e di archivio meticoloso che ha permesso di ritrovare materiali inediti o poco esplorati, questo entusiasmo ed ammirazione arrivano a contagiare lo spettatore: davvero Montand finisce per appartenerci, nei suoi successi, nelle sue scelte, talvolta coraggiose, altre volte controverse, nei suoi dubbi, nelle sue fragilità.
Montand est a nous si gioca tutto sulla coesistenza del livello personale e collettivo, sia nella rievocazione del regista del divo della sua vita, sia nella vita di Montand stesso: non solo per l’usuale contrasto tra vita pubblica e vita privata nell’immagine di una star, ma anche e soprattutto per l’impegno politico dell’attore e cantante che nasce dall’incontro privato con la futura moglie Simone Signoret. Un incontro che il documentario definisce come “l’incontro di due sinistre”, quella intellettuale di Signoret e quella proletaria di Montand, figlio di immigrati italiani in fuga dal fascismo.
Il documentario di Jeuland riscostruisce il clima di contrapposizione della Guerra Fredda senza timore di essere smentito dalla sensibilità contemporanea: la scelta, sofferta, di Montand di partecipare ad una tournée in Unione Sovietica anche dopo i tragici fatti di Ungheria, viene mostrata come conseguenza necessaria di anni in cui la lotta ideologica imponeva una scelta di campo. L’utilizzo del cinegiornale sovietico del tempo ricostruisce anche gli attacchi che Montand e le personalità della sinistra subivano per le loro simpatie politiche. Al termine della tournée, Montand dirà di continuare a sperare in un avvenire migliore ma di aver smesso di crederci, iniziando una revisione politica che non lo porterà ad abbandonare la sinistra (un esito che si differenzia dalle tante narrazioni di conversione che caratterizzano le personalità della Guerra Fredda), ma che gli farà prendere progressivamente le distanze dal Partito Comunista Francese.
Jeuland segue la passione politica di Montand nei suoi impegni di cantante, in cui alternerà palcoscenici nazionali ed internazionali a concerti nelle fabbriche, e di attore. Pur non disconoscendo i film girati prima dell’incontro con Costa Gavras nel 1965 per Vagone letto per assassini, Montand individua l’incontro con il regista greco come l’evento più significativo della sua carriera. A questa testimonianza, Jeuland conferisce il rilievo che il divo avrebbe voluto: le collaborazioni con Gavras permetteranno a Montand di affermare il perdurare del suo impegno a sinistra con film come Z – L’orgia del potere (1969), L’Amerikano (1973), L’affare della sezione speciale (1975) ma, al tempo stesso, di smarcarsi dall’ortodossia sovietica con La Confessione (1970).
Significativamente, Jeuland associa la politica alla figura pubblica di Montand, piuttosto che al flirt con Marilyn su cui il documentario non si sofferma. A questa dimensione pubblica, il regista non manca, tuttavia, di aggiungere una dimensione privata, con la paura di invecchiare che emerge dai ruoli dei film di Claude Sautet, altro incontro fondamentale per l’autore, dal diradarsi dei concerti dal vivo e dal backstage di Jean de Florette, in cui l’attore è stato invecchiato ad arte per un ruolo in cui, tuttavia, deve riconoscere il suo stesso futuro.
E qui arriva la parte più privata anche per lo stesso regista che documenta la morte del suo e nostro eroe non attraverso immagini ufficiali ma con la sua stessa testimonianza di proprietario di un biglietto per un concerto che non si terrà mai e con le ripetute morti cinematografiche di Montand, sequenze che lo consegnano all’immortalità divistica.