Titanus, Nexo Cinema e Rai Com, in occasione del 20º anniversario della casa di produzione fondata a Napoli nel 1904 da Goffredo Lombardo, hanno varato l’iniziativa Titanus 120 Classics. Tra i classici Titanus restaurati, è tornato in sala Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini, capostipite di una fortunata serie cinematografica e titolo faro del neorealismo rosa.

Il film di Luigi Comencini, insieme a Poveri ma belli di Dino Risi, resta l’autentico manifesto della commedia neorealista, filone che ha aperto la strada alla commedia all’italiana, una forma-cinema decisamente storicizzata e cristallizzata nel tempo che riesce a restituire la dimensione sociale e antropologica dell’Italia del secondo dopoguerra, tra scampoli di miseria e sorrisi di speranza.

Riletto alla luce di oggi Pane, amore e fantasia, pur non risultando il capolavoro di Comencini, resiste all’usura del tempo mantenendo intatta la freschezza e la spontaneità di un affresco paesano, in grado di calibrare attentamente umorismo, riflessione sociale (sia di ceto che di sesso), romanticismo e sensualità.

In questo affollato quadro di bozzetti paesani, spiccano caratteristi che hanno fatto la storia del genere come Tina Pica nel ruolo della domestica Caramella (depositaria delle battute più spiritose), Virgilio Riento come parroco di paese, Marisa Merlini nei panni della levatrice Annarella, ma soprattutto il protagonista Vittorio De Sica come maresciallo Antonio Carotenuto, alla sua seconda giovinezza come interprete brillante, e Gina Lollobrigida che con la sua Pizzicarella la Bersagliera crea un’icona sexy-popolare, dopo la Mangano di Riso amaro e prima della Loren di L’oro di Napoli.

Il film funziona sia sul versante della commedia popolare per ricchezza di battute e di invenzioni umoristiche (con una grande attenzione al dialetto e alla territorialità), sia su quello della riflessione postbellica, ritraendo un’Italia che guarda a una rinascita collettiva.

Interessante il maresciallo di Vittorio De Sica come figura seminale, il viveur diverrà uno dei caratteri fissi della commedia a episodi degli anni Sessanta (spesso impegnata a sbeffeggiare il cosiddetto gallismo all’italiana) e la maschera preferibilmente indossata dall’interprete nella sua successiva carriera comica, fino a trasformarla in cliché e in doppio parodico di sé stesso.

In Pane, amore e fantasia questa sua maschera di seduttore appare ancora misurata e tenuta a briglia corta, mentre già nel successivo Pane, amore e gelosia (sempre diretto da Comencini) all’interno di qualche venatura (neo)realista si fa già strada una certa predisposizione di De Sica per la pochade, che poi si spalancherà totalmente in Pane, amore e… (con la regia di Dino Risi) in una ridda di equivoci e gag davanti alle procaci e provocanti forme della Loren, in un cinemascope dai colori fiammanti.

Si aggiungono poi i deboli Pane, amore e Andalusia che chiude la tetralogia (spinto sul versante comico-musicale) e Tuppe tuppe, Marescià! (distribuito anche con il titolo È permesso Maresciallo?), spinoff con protagonista Roberto Risso, timido carabiniere del primo capitolo.

Ma il prototipo di Comencini resta inimitabile come sguardo d’insieme su un’Italia di provincia ancora legata a riti e superstizioni popolari, precisa radiografia di un’umanità imbevuta di fede e speranza, dove anche la sensualità era schietta e genuina, come testimonia la vivace descrizione del corpo della levatrice che fa Tina Pica davanti a un De Sica apparentemente imperturbabile.