Alla fine è tutta una questione di performance. Era stata un'interpretazione, nello stupefacente finale del Joker di Todd Phillips, a concedere al mite e vessato Arthur Fleck la forza di compiere il gesto estremo che lo avrebbe trasformato, agli occhi dei cittadini di Gotham, in un simbolo di rivalsa nei confronti degli oppressori.

Era stata una performance eccezionale, quella di Joaquin Phoenix, con le sue sfumature e la sua intensità, a rendere mirabile quella rivisitazione di un personaggio spogliato dei suoi connotati storici, tanto da stimolare un legame empatico tra il pubblico ed un personaggio dalla moralità discutibile da alcuni definito addirittura pericoloso.

Ed è proprio attorno ad una performance che viene incentrato questo sequel, annunciato come un attraente musical dark ma rivelatosi uno scarno dramma procedurale privo di tensione. Sono passati due anni dall'omicidio di Maurray Franklin in diretta TV, Fleck è rinchiuso nel carcere psichiatrico di Arkham e rischia la pena di morte.

La linea perseguita dalla difesa è quella della malattia mentale, una scissione di personalità che dimostrerebbe come la colpevolezza di Joker non possa ricadere su Arthur. Ad avere agito è stato il personaggio, la maschera, l'alter ego e non l'uomo traumatizzato da un passato di soprusi e abbandoni. Questo è ciò che si vorrebbe dimostrare affinché giudice e giuria si esprimano per una pena più leggera.

Ma, al contempo, là fuori il mondo continua a bruciare. Il clown assassino permane nell’essere un simbolo e ad esercitare il suo fascino malsano su una frangia sensibile della popolazione. Tra questi c'è anche lei, Harleen Quinzel (Lady Gaga), ammaliata dalla figura di Joker tanto da farsi internare volontariamente ad Arkham con il preciso scopo di incontrarlo.

I due si notano, tra essi nasce la musica, una musica che li porta ad unire le loro voci e danzare. Ed è qui, nel momento in cui il discorso sulla performatività avrebbe potuto divampare, che Joker: Folie à Deux si scioglie come la cera sulle ali di Icaro, rivelando una gravissima povertà creativa.

La strada del musical suggeriva una certa temerarietà nell’intenzione di proseguire un progetto che con il film del 2019 sembrava avere già raggiunto il suo culmine. La virata verso un genere che inevitabilmente avrebbe portato con sé un elemento attrattivo anomalo rispetto a quanto mostrato in precedenza era sì un azzardo, ma apriva anche a una serie di intriganti possibilità espressive.

Eppure la dimensione spettacolare del musical resta perennemente isolata da tutto il resto, anziché sovrapporsi al discorso sulla personalità artefatta, fomentandola ed esasperandola, le esibizioni canore vengono relegate ad intermezzi avulsi da una struttura che fatica terribilmente nel trovare la spinta propulsiva agognata.

Impoverita della sua pregnanza drammaturgica, l’esibizione perde valore catartico, resta relegata ad una mera, per quanto godibile interruzione del racconto, depotenziandosi fino alla completa dissoluzione del personaggio. Esattamente come accade ad Arthur nel momento in cui è chiamato a difendere sé stesso attraverso una nuova esecuzione davanti alla corte.

Folie à Deux si chiude con una rinuncia. Un personaggio che si rifiuta di tornare su una scena che lo reclama e acclama a gran voce. Una stanca e disillusa astensione che annichilisce la maschera, togliendole ogni capacità di agire e di perseverare nella sua esistenza. È la fine del Joker, il rinnegamento del mito e della figura nata dalla performance.

Un epilogo anticlimatico che pare quasi voler calmare le acque dopo la tempesta scatenata dalla risoluzione esaltante e al contempo moralmente ambigua dell’opera precedente, quasi a volersi deresponsabilizzare per avere avuto il coraggio di creare un eroe deprecabile nel quale il pubblico si è riconosciuto e per il quale è stato spinto a parteggiare.

Una resa incomprensibile da parte di Phillips, il quale dimostra di ripudiare tanto la sana identità pop del suo lavoro quanto la creatività eversiva del cinema New Hollywood che tenta goffamente di replicare. Una performance mancata, un’occasione persa e una porta lasciata socchiusa verso un proseguimento quanto mai incerto.