Dopo il convincente esordio di Una femmina, Francesco Costabile torna nelle sale con Familia, già in concorso a Venezia 81 nella sezione Orizzonti. Se nel primo lungometraggio Costabile trattava della violenza di genere nel territorio calabrese, in questo caso sposta la propria cinepresa su un caso realmente accaduto di violenza domestica nella periferia romana.

Alessandro e Luigi crescono sentendo le urla soffocate della madre, vedendo il suo volto sfinito e dovendo fare i conti con la tossicità del padre Franco (Francesco Di Leva) che finisce in prigione e viene poi allontanato dal nucleo famigliare. Licia (Barbara Ronchi) prova a tenere sulle sue spalle il peso di una famiglia sfilacciata e non perde mai la speranza di vederla unita e normale; tuttavia, certi fantasmi non se ne vanno mai via veramente, sono destinati a tornare e costruiscono una catena di disagio e di violenza che si propaga.

Infatti, Luigi (un intenso Francesco Gheghi, vincitore del premio come miglior attore nella sezione Orizzonti a Venezia) cresce abituandosi alla violenza e la accoglie nella sua vita in modo diverso, aderendo a un gruppo di matrice neofascista. Il film, tratto dall’autobiografia Non sarà sempre così dello stesso Luigi Celeste, è anche un coming-of-age del protagonista, ma il punto d’osservazione principale rimane il nucleo famigliare con le sue ramificazioni, incrinature e dispersioni.

Quella di Familia non è di certo una storia nuova o mai vista; tuttavia, è una storia, ahinoi, ancora molto radicata nella realtà e quindi ancora necessaria. Costabile mette lo spettatore di fronte alla distruzione, fisica ed emotiva, a cui la violenza domestica può condurre, oltre che alle conseguenze devastanti e ai danni irreparabili che tale persecuzione può provocare come in un tunnel in fondo al quale non si vede mai la luce.

Un altro degli effetti distruttivi di un maschilismo tossico, violento e ossessivo – un plauso a Francesco Di Leva e a Barbara Ronchi per avere incarnato rispettivamente l’abiezione di un uomo e la straziante sofferenza di una moglie e una madre – è la solitudine che avvolge i personaggi. Non è un caso che Costabile opti per una fotografia dai toni molto cupi all’interno della quale ci si ritrova spesso soli, indifesi e spaventati, unitamente a una colonna sonora minimale che amplifica l’impatto emotivo dei momenti più disturbanti.

La violenza domestica, infatti, molto spesso fa vivere anche il dramma dell’isolamento, del non aver nessuno a cui chiedere aiuto, conforto o ricevere sostegno. E il risultato è che il dolore diventa ancora più inestirpabile e, prima o poi, mortale. L’emblema di questa condizione è proprio la figura di Licia: eternamente sola, senza genitori né amici a cui rivolgersi, braccata dal marito e incapace di smettere di sognare una famiglia come tutte le altre.

L’unica fiammella di luce, in tutta questa storia, è rappresentata da Giulia (Tecla Insolia), la fidanzata di Luigi. Giulia insegna a Luigi cosa sia l’amore e sarà lei a salvarlo dal diventare qualcosa di molto simile al padre. Ancora a lei verrà affidato il messaggio di speranza finale.

Alla fine, per trovare una via d’uscita e per darsi una possibilità di futuro, servono un sacrificio e quindi anche un’espiazione. In questo senso, soprattutto nei momenti conclusivi del film, sono ripetuti gli echi che rimandano a un ipotesto capitale per la cultura occidentale come Delitto e castigo di Dostoevskij – riferimento che, peraltro, è stato confessato anche dal regista stesso.

Familia è un film che ci racconta una fetta di realtà che non vorremmo vedere, eppure ancora esiste e strozza le vite di tante famiglie. Con questo lavoro, Costabile si conferma un regista molto sensibile nel guardare e raccontare il dramma di vite (apparentemente) ordinarie attraverso un realismo crudo, emotivamente intenso e tristemente concreto.