L'edizione di quest'anno della Festa del Cinema di Roma sarà ricordata come un evento all'insegna del femminile. Non solo per i suoi vincitori (Bound in Heaven di Huo Xin nel concorso Progressive e Bird di Andrea Arnold ad Alice nella Città), ma soprattutto per un cinema al femminile inedito che si distacca dai messaggi urlati, dalle condanne generalizzate e dagli stereotipi post-patriarcali che frequentemente ci offrono le produzioni audiovisive, in particolare quelle delle piattaforme di streaming.
Le opere in questione sembrano aver posto un freno ai tradizionali schemi narrativi della produzione audiovisiva dominante: non tentano di impartire al pubblico le regole di un'epoca post-patriarcale né di riscrivere la storia dividendo il mondo in predatori e prede. Al contrario, questi film s'immergono nel vissuto dei loro personaggi con un’attenzione contemplativa, come se fossero, prima di tutto, documentari sulla propria finzione. E qualora ci fosse da esprimere una condanna, questa si manifesta piuttosto attraverso il dispositivo registico come uno scavo indotto da questo nuovo regime di attenzione.
Si prenda ad esempio il lavoro sullo sguardo spettatoriale di Janet Planet di Annie Baker e Jazzy di Morrisa Maltz: due opere apparentemente distanti per stile — la prima è una delicata e silenziosa meditazione sul legame madre-figlia, mentre la seconda è una frenetica ed eclettica esplorazione delle scoperte quotidiane di una ragazzina — si addentrano negli spazi di un'America rurale attraverso gli occhi delle protagoniste, senza alcun pregiudizio e ponendosi alla loro altezza.
Niente “female gaze”, ma sguardi precari. È questa precarietà della conoscenza, incarnata dai personaggi, a porsi in contrasto con un cinema femminista talvolta troppo sicuro della propria posizione. Ci troviamo di fronte a film-catalogo in cui le esperienze si accumulano senza che i soggetti possano nominarle o registrarle in modo compiuto.
In Querido Tropico di Ana Endara, la protagonista, sottomessa al mondo delle maschere, quello degli adulti, è costretta a camuffare il proprio corpo simulando una maternità. Come in ogni buon melodramma, Ana María troverà il proprio riflesso, qui un’anziana signora afflitta da demenza. Questi film, chiusi in un linguaggio familiare, cercano di comunicare un codice segreto, quello dell'intimità. Si tratta di opere in cui i protagonisti, con i loro sguardi incerti, apprendono non solo a vivere, ma anche a condividere e a costruire comunità.
Così in Bird assistiamo all'invenzione di una famiglia. Il suo realismo urgente apre uno squarcio estetizzante sul disagio provinciale, che viene infine spezzato da un camuffamento magico, l'intervento miracoloso di un uomo-uccello che si vendica di un mondo patriarcale che l'ha forgiato e ridotto in miseria. Qui, come negli altri titoli, il diventare-soggetti rappresenta un affrancamento critico da una realtà imposta, dai pregiudizi dominanti che si frappongono lungo il cammino.
In modo analogo, in On Becoming a Guinea Fowl, il diventare-soggetti si traduce in un diventare-animale, affrontato con una dose d'ironia e distacco, equilibrando un approccio tanto etnografico quanto satirico nei confronti delle convenzioni zambiane. Il film di Rungano Nyoni è un esempio eccellente delle inversioni proposte da queste opere in merito alla critica sociale. Soltanto attraverso un'esplorazione improvvisata dei rituali funebri della cultura zambiana, infatti, ci immergiamo, insieme alla protagonista, nella crudele realtà della cultura dello stupro.
Per concludere questo excursus, un ulteriore esempio che incarna alcune delle strategie qui descritte è On Falling, esordio alla regia di Laura Carreira. Il film, girato con camera a mano, segue le vicende di un’immigrata addetta al picking all'interno di un'azienda. L’approccio loachiano nei confronti delle condizioni alienanti di un lavoro sempre più disintermediato e asociale illumina una realtà già di per sé drammatica ma il progressivo scavo nella vita della protagonista rivela un più profondo vuoto esistenziale.
Anche in questo caso, la protagonista tenta di camuffarsi, convinta che un sottile strato di trucco possa alleviare le sue sofferenze, ma nel sorprendente epilogo di chiara ispirazione akermaniana, giunge, insieme allo spettatore, alla consapevolezza del vuoto che ha cercato disperatamente di celare.