In periodo di classifiche di fine anno è sorprendente scoprire che La donna di Parigi di Charlie Chaplin, del 1923, svettava in cima alle liste di due rinomati critici americani, Andrew Sarris e Molly Haskell, nell’anno… 1976! In occasione dell’uscita del cofanetto edito dalla Cineteca di Bologna, riportiamo due brani dal libretto che accompagna il film, il primo tratto dall’introduzione della curatrice Cecilia Cenciarelli, il secondo, appunto, l’articolo di Andrew Sarris che eleggeva Chaplin a trionfatore tra le proposte cinematografiche di quell’anno.
Nel dicembre del 1976, il Museo d’Arte Moderna di New York ospitò la prima mondiale della riedizione della Donna di Parigi. Il film fu successivamente distribuito nelle sale di prima visione e come tale recensito, rientrando così a pieno titolo nelle classifiche di fine anno. Se nel 1923 La donna di Parigi divideva le rubriche di cinema con DeMille, Buster Keaton e Il gobbo di Notre Dame, nel 1976 se la vedeva con Chabrol, l’ultimo Hitchcock, la New Hollywood e dintorni…
Due tra i critici americani più blasonati, Andrew Sarris e Molly Haskell, incoronarono La donna di Parigi al primo posto delle rispettive classifiche dei migliori film di quell’anno.
Ancora fresca dello straordinario successo di From Reverence to Rape: The Treatment of Women in the Movies (1974) – uno dei primi e più influenti studi critici a esaminare la rappresentazione femminile al cinema – Haskell intitolò il suo editoriale di fine anno 1976: Una brutta annata per il vino e le donne, denunciando la mancanza di ruoli femminili drammaturgicamente convincenti, emotivamente credibili, a tutto tondo: “E poi, due giorni prima di Natale è arrivato un film che senza grandi ambizioni ha fatto apparire, ai miei occhi, molti degli altri film usciti quest’anno come dei regali magnificamente impacchettati ma, di fatto, vuoti. Che dire! È il vecchio triangolo vittoriano [...] ma il trattamento dei personaggi e le scelte che Chaplin lascia alla protagonista, non hanno nulla di melodrammatico. E la conclusione – in cui Purviance ritorna in campagna e va a vivere da sola, abbracciando con gioia la vita con dei bambini orfani e non sentendo l’urgenza di avere un marito e dei figli propri, non è decisamente quello che ci aspettiamo da un’eroina romantica del 1923… e neanche del 1976”.
Cecilia Cenciarelli
Quando scorro l’elenco delle uscite del 1976 il mio primo impulso è versarmi un bicchiere di zabaione per tirarmi su. I film tediosi che figurano in quell’elenco basterebbero per un decennio di masochistiche serate al cinema. Ma nel 1956, nel 1936 o nel 1916 i miei predecessori avranno forse provato la stessa sensazione dovendo compilare la lista dei loro dieci migliori film. Il panorama cinematografico sembra sempre il più buio prima di diventarlo ancor di più. In effetti i critici si lagnano con l’industria del cinema almeno dal 1929, anno in cui il sonoro si scontrò con il crollo di Wall Street causando una doppia crisi di fiducia. Molti film entusiasmanti dei primi anni Trenta finirono ignorati tra gli ottusi proclami sul presunto tradimento, da parte dell’industria, del patrimonio visivo del mezzo cinematografico, e gli articoli catastrofisti sono da allora un appuntamento fisso di fine anno.
Come storico del cinema revisionista ho sempre preferito sottolineare gli aspetti positivi, e tra le sciocchezze di quest’anno in cui si celebra il bicentenario degli Stati Uniti c’è stato qualche momento degno di nota. Tuttavia, il 1976 è stato in buona sostanza un anno di consapevole regressione nell’industria cinematografica, tanto che ho deciso di barare un po’ inserendo in cima alla mia lista dei dieci migliori film dell’anno La donna di Parigi di Charles Chaplin, del 1923, e La cagna di Jean Renoir, del 1931. Uno dei miei motivi è incoraggiare la riscoperta archivistica, e un altro congratularmi con il Museum of Modern Art e il New York Film Festival per aver trasformato uno sguardo retrospettivo in un evento d’attualità. Desidero però soprattutto suggerire importanti esempi del passato per mostrare dove e come il presente abbia smarrito la strada.
In realtà avevo visto La donna di Parigi e La cagna una decina di anni fa, e nessuno dei due film mi aveva particolarmente impressionato. Chaplin e Renoir occupavano entrambi una salda posizione nel mio pantheon, ma sia La donna di Parigi che La cagna sembravano rappresentare intermezzi minori ed eccentrici in carriere altrimenti illustri. Questa volta sono stato invece sopraffatto, in parte perché ho notato alcune sfumature di stile personale che mi erano sfuggite, ma soprattutto per l’abilità di Chaplin e Renoir nel descrivere un conflitto drammatico da più di un punto di vista. Aiuta il fatto che per tracciare i sacri destini dei loro personaggi Chaplin e Renoir ricorrano rispettivamente al viaggio dalla provincia alla capitale e alle scene di strada. E aiuta anche che entrambi i registi distolgano lo sguardo dagli interni dei loro drammi per rivolgersi all’esterno, al pubblico, confermando in questo modo il matrimonio mistico tra cinema e teatro.
Le immagini in cui i personaggi dei due film esprimono i loro stati d’animo mi sono rimaste impresse per giorni. E anche secondo i canoni attuali queste opere del passato sono esperienze cinematografiche sottili e mature. I due film furono considerati troppo cinici e amari per i loro tempi e tutti e due fallirono al botteghino, il che sarebbe irrilevante se non fosse per la mia impressione che la maggior parte dei film contemporanei fallisca più per calcoli volgari che per tormentata ambizione.
È stato detto che i magnati di oggi fanno affari piuttosto che film. Peggio ancora, la maggior parte dei cineasti odierni tenta disperatamente di svendersi, ma non sa come. Invece di sfruttare la libertà appena conquistata per esplorare più a fondo la natura umana, i registi contemporanei sembrano succhiarsi il pollice e aggrapparsi al ridicolo sistema di classificazione dei film come alla coperta di Linus. Così mentre la sessualità adulta è stata relegata in un ghetto loro sembrano concentrarsi su una velocità tutta ad effetto. La forma e lo stile sono stati soffocati da un’insensata spettacolarità.
Ma basta così! Ecco, senza ulteriori indugi, la mia lista dei dieci migliori film del 1976: La donna di Parigi di Charles Chaplin, La cagna di Jean Renoir, Una partita di piacere di Claude Chabrol, La Marchesa von… di Eric Rohmer, Tutti gli uomini del presidente di Alan Pakula, L’ultima donna di Marco Ferreri, Attenzione alla puttana santa di Rainer Werner Fassbinder, Robin e Marian di Richard Lester, Complotto di famiglia di Alfred Hitchcock e L’immagine allo specchio di Ingmar Bergman. Sono pronto ad ammettere che Complotto di famiglia è un Hitchcock minore e L’immagine allo specchio un Bergman imperfetto, ma in un anno in cui sto rendendo omaggio a Chaplin e Renoir non posso escludere Hitchcock e Bergman.
Andrew Sarris, 1976 May Look Better 20 Years from Now, “Village Voice”, 18 gennaio 1977. Traduzione di Manuela Vittorelli
La foto in evidenza appare per cortesia di © Roy Export Company Ltd.