The Sweet East (MUBI) è l’esordio alla regia di Sean Price Williams, direttore della fotografia particolarmente attivo nella scena indipendente newyorchese e noto per aver lavorato, tra le altre cose, a tutti i lungometraggi dei fratelli Safdie e di Alex Ross Perry. Quest’ultimo ha prodotto il film coinvolgendo attori come Jacob Elordi e Ayo Edebiri nel tentativo di rendere più interessante il progetto agli occhi dei finanziatori, a quanto pare, riuscendoci. Presentato alla Quizainne des Cinéastes di Cannes 2023, non ha comunque goduto di grande visibilità o di un’ampia distribuzione negli Stati Uniti, mentre da noi è arrivato soltanto adesso direttamente su Mubi.

C’è chi lo ha chiamato il miglior film A24 che la A24 non ha mai realizzato e a guardarlo da lontano avrebbe tutte le carte in regola per incastrarsi nello stereotipo dell’indie americano: un po’ coming of age, un po’ road movie, girato quasi interamente con macchina a mano, insistenza su inquadrature strette e primi piani, la solita fotografia di Williams e i dialoghi nevrotici su politica, relazioni, arte e cultura. Tuttavia, al di là di ironiche generalizzazioni, The Sweet East sembra prendersi davvero poco sul serio proponendo una satira sulle varie facce dell’America viste dalla prospettiva di un’adolescente della Gen Z.

Lilian, liceale del New Jersey, durante una gita scolastica a Washington abbandona amici e professori per imbarcarsi in un viaggio verso l’ignoto affidandosi alle cure di chiunque si pari sul suo cammino. Grazie al proprio fascino e all’apparente ingenuità che trasmette, la ragazza partirà alla volta della East Coast imbattendosi in personaggi sempre più bizzarri e diversi tra loro. Le sue avventure ci porranno dinanzi alle contraddizioni che convivono sul suolo americano e con le quali lei, in ogni caso, sembra sempre trovarsi a suo agio, che si tratti di entrare in un collettivo antifascista o condurre una romantica convivenza con un professore neo-nazista.

L’intero film è pervaso da un’atmosfera surreale che ha il pregio di alleggerire l’assurdità degli eventi, riuscendo a restituire il senso di spaesamento vissuto dalla protagonista, motivo principale della sua partenza. Lilian, infatti, non sembra avere un’idea chiara sul tipo di persona che vuole essere, indossa le vite degli altri per gioco, cambia nome e va avanti per la sua strada senza mai voltarsi indietro, noncurante delle conseguenze delle sue azioni.

In questo senso, ha un atteggiamento contraddittorio: parte alla ricerca di qualcosa che possa stupirla e liberarla dal torpore della vita in provincia, ma si dimostra disinteressata dinanzi a tutto ciò che le si para davanti. D’altro canto la ragazza non ha personalità né particolari interessi, è un guscio vuoto e questo fa sì che chiunque la incontri possa vederci ciò che vuole. L’unico elemento caratterizzante è la sua bellezza, tanto decantata dai personaggi nel corso della pellicola. Il mero aspetto fisico, che lei voglia o meno, attira lo sguardo altrui e le permette ogni volta di diventare qualcun’altra, fintanto che la noia non sopraggiungerà di nuovo e, con indifferenza, fuggirà ancora verso l’ignoto.

Seppure risulti difficile empatizzare con un personaggio apatico e vuoto, il suo sguardo è però funzionale a ritrarre con imparzialità le varie sfumature di un Paese che non ha un’identità unitaria e appare perso in un delirio collettivo. Il senso di spaesamento adolescenziale, la costante ricerca dell’evento, della sorpresa e la paradossale incapacità di lasciarsi sorprendere sono allora pienamente trasmessi dal viaggio della protagonista, che per sua stessa natura non avrà nessuno scopo e non porterà ad alcuna crescita.

Questa spensieratezza e senso di surrealtà che abbraccia la storia è però messo in crisi da momenti in cui i lunghi e verbosi dialoghi tra i personaggi tradiscono la volontà di comunicare riflessioni preconfezionate sulla nazione. In particolare lo si nota nel segmento con il professore neo-nazista, il quale filosofeggia così a lungo da far pensare che il suo flirt con la ragazza sia il fulcro di tutta la narrazione.  Il ritorno sulla strada e il prosieguo del viaggio colgono quasi di sorpresa, dopo che quest’ultimo passaggio ha impostato le basi per quello che potrebbe essere tutto un altro film.

Non è chiaro dunque quale sia la reale ambizione di The Sweet East, diviso tra un’affascinante assenza di scopo e organicità, che ben rappresenta il sentore giovanile e le numerose facce degli Stati Uniti d’America; e la volontà di dare un senso a questi magici incontri, lasciando intendere che, forse, queste conversazioni così confuse e sconclusionate andrebbero ascoltate con maggiore attenzione.