Per la gioia dei fan di Stephen King, che saranno dunque felici una media di cinque volte all’anno, esce l’ennesimo adattamento di un suo lavoro: The Monkey, commedia horror diretta da Osgood ‘Oz’ Perkins. L’omonimo racconto era già stato trasposto solo nel meritatamente sconosciuto Il dono del diavolo di Kenneth Berton, e dunque i produttori, tra cui spicca il nome di James Wan, devono aver pensato fosse una buona idea rimasticare ancora il repertorio dello scrittore statunitense.

L’intreccio copre una trentina d’anni della vita di due gemelli, il remissivo Hal e l’aggressivo Bill, che da bambini trovano un giocattolo a molla a forma di scimmia dotato di tamburello. Il pupazzo si anima e suona ogni qualvolta viene girata la sua manovella, e quando tocca il tamburo qualcuno vicino ai fratelli muore. Gli elementi del racconto sono sempre i soliti quando di mezzo c’è la penna di King: bambini a contatto con la morte che devono riaffrontare le loro paure da adulti, genitori insensibili e studenti sadici. Dalla prima inquadratura sa di già visto perché lo è.

Nonostante la formula body count per il grande pubblico, abbastanza intenso da colpire e non abbastanza da lasciare il segno, l’ottima mano di Perkins si fa sentire, specie nella prima parte. Di scivoloni narrativi ce ne sono, non si capisce ad esempio perché Hal cresca col terrore di attirare sventure dal momento che si era liberato della scimmia, ma a reggere il film è piuttosto la successione di morti improvvise, raccontate con umorismo e leggerezza.

Il lato ironico di The Monkey funziona bene, meglio nei momenti splatter che nei dialoghi, e ben si sposa col tema della subitaneità della morte. A differenza di opere come la saga di Terrifier, il cui l’assassino infierisce sui corpi all’inverosimile, per così tanto tempo da volgere l’effetto tragico in commedia, Perkins adotta prevalentemente due soluzioni: la vittima designata della scimmia esplode inaspettatamente in frazioni di secondo, quando non addirittura fuori campo, oppure tramite improbabili concatenazioni di eventi alla Scooby-Doo, con l’oggetto che rotola sul piano che inclina l’interruttore che fa saltare i circuiti ecc…

The Monkey è impregnato dell’aura della morte, complici anche l’uso dosato della colonna sonora e diverse remote ambientazioni, eppure non inquieta per un secondo, ed è un peccato che l’atmosfera macabra non risalti con maggiore maturità. Dopotutto i protagonisti sono segnati dal lutto, sono sempre pronti al peggio ma la morte li coglie comunque di sorpresa, loro stessi covano violente pulsioni intrusive e l’esistenza di ogni personaggio è segnata dalla transitorietà, eppure The Monkey non riesce a strappare che uno sghignazzo, nei suoi momenti migliori.

Da segnalare a tal proposito due camei particolarmente azzeccati e divertenti: lo stesso Perkins nel ruolo di un menefreghista zio ed Elijah Wood in versione guru contemporaneo della genitorialità. Per il resto la scanzonatura adolescenziale non compete all’autore degli stupendi quanto suggestivi February e Longlegs.

Le idee non mancano a Perkins, basta notare anche solo la fantasia e la varietà prospettica da cui inquadra la scimmia, ma si sente che manca l’anima, che The Monkey è il classico compitino decoroso statunitense, pensato per soddisfare un gusto medio che non esiste.