In queste ore al Cinema Ritrovato 2016, la Cineteca di Bologna presenta il restauro di Signore e signori di Pietro Germi, forse la commedia più nera e sorprendente di tutti gli anni Sessanta, periodo nel quale non mancano certo film corrosivi. Germi presentò il film proprio a Cannes nel 1966, vincendo il Festival in un’edizione d’oro per il cinema italiano, che sulla Croisette portava anche L’armata Brancaleone di Mario Monicelli e Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini. Affresco collettivo che riunisce Virna Lisi, Moira Orfei, Gastone Moschin, Alberto Lionello, Franco Fabrizi e via dicendo (senza dimenticare il cameo di Alberto Rabagliati), Signore & Signori è anche il figlio di un eccezionale pool di sceneggiatori: oltre allo stesso Germi, Luciano Vincenzoni, Age & Scarpelli ed Ennio Flaiano. Noi di Cinefilia Ritrovata, di concerto con gli Archivi della Biblioteca Renzo Renzi, proponiamo un viaggio tra alcuni documenti – rari e sorprendenti – legati al film, e al rapporto con Alessandro Blasetti (a sua volta protagonista di incontri al festival).
“Roma – Alessandro Blasetti e Pietro Germi hanno vinto ex equo il premio David di Donatello destinato alle opere e agli autori migliori, particolarmente distintisi nel corso della stagione cinematografica. I due registi sono stati premiati rispettivamente per i film Io, io, io e…gli altri e Signore e signori.”
‘L’Avvenire d’Italia’, 9 giugno, 1966
La notizia, scovata per caso sfogliando una rassegna stampa d’epoca conservata negli archivi della Cineteca, è diventata un buon pretesto per cercare consapevolmente tracce del legame tra Alessandro Blasetti e Pietro Germi. Rapporto di amicizia risaputo certo, ma ritrovarsi tra le mani due lettere manoscritte dello scontroso allievo del Centro Sperimentale e pochi anni dopo del regista esordiente Pietro Germi – accanto al soggetto originale di Il testimone, il suo primo film – è motivo di grande emozione, poiché si tratta di documenti inediti che ci raccontano qualcosa di più di due momenti fondamentali nella vita di questo autore, la sua formazione e la nascita del suo cinema.
“Dottore,
Mi pare che i nostri rapporti siano stati fin’ora segnati da un certo imbarazzo.
Ma stamane lei, senza alcuna sollecitazione da parte mia, mi ha avvicinato, offrendomi la possibilità di fare qualcosa con lei, e dimostrandomi con ciò non solo stima, ma anche simpatia, poiché nessuno può desiderare di lavorare con qualcuno che non gli sia simpatico. Da parte mia, la sua iniziativa mi ha reso molto contento, non solo per i vantaggi che ne possono derivare, ma soprattutto per il fatto dell’iniziativa in sé: la stessa gioia avrei provato, tanto per intenderci, se lei si fosse limitato a battermi una mano sulla spalla dicendomi con cordialità: “come sta Germi?”.
Questi due fatti: Il suo avvicinarsi a me e la gioia che io ho provato, dimostrano che l’imbarazzo dei nostri rapporti precedenti nasceva dall’equivoco.
E ciò è ben comprensibile dato che lei, mi permetta di dirlo, è un impulsivo ed io sono un timido, e quindi facilmente adombrabile e di carattere piuttosto chiuso”.
Al Centro Sperimentale, sulla carta Germi frequenta il corso di recitazione, ma di fatto segue le lezioni di sceneggiatura e di regia, diventando l’allievo prediletto di Blasetti che, come si evince dalla lettera, lo avvicina dimostrandogli la sua stima e gli offre di collaborare come sceneggiatore e aiuto regista per Retroscena (1939); l’anno successivo è sul set di La corona di ferro (1941) e pochi anni dopo lo vuole come assistente di Nessun torna indietro (1943). Germi deve molto all’intuito impulsivo di Blasetti che subito capisce le potenzialità del suo talento. È lui che trova l’escamotage di farlo ammettere nel corso di arte drammatica per il quale non era necessario avere un diploma. Germi, appunto, non lo aveva e inoltre era già stato scartato, ingiustamente, dalla Commissione per la selezione delle nuove leve del corso di regia.
Dall’incipit della lettera si può intuire che Germi fosse inconsapevole di avere già un alleato in Blasetti e inoltre, nonostante si dichiari ‘un timido’ in poche righe non gli risparmia il suo giudizio su Ettore Fieramosca (1938), l’ultima fatica del regista con gli stivali, dimostrando di non avere falsi pudori e di rapportarsi al maestro sullo stesso piano.
“Comunque ora che lei ha rotto il ghiaccio, tengo a dirle che ho sempre avuto per lei, come uomo e come artista, quella stima e quel rispetto che merita. Colgo anzi l’occasione per dirle ciò che penso della sua ultima fatica: Il ‘Fieramosca’ è un’opera degna e che le fa onore, anche se, mi sembra, ha qualche difetto di cui lei è certo consapevole più di ogni altro”.
…
Dall’archivio di Blasetti,nel fascicolo di corrispondenza titolato ‘Personalità’, salta fuori un’altra lettera di Germi, di pochi anni successiva. La scrittura si è fatta più grande, più fluida. Il tono è professionale, con un pizzico di ironia. Il momento cruciale è arrivato. Germi si sente pronto per affrontare la sua prima fatica cinematografica.
“Caro Blasetti,
C’è una casa che potrebbe, forse, farmi dirigere un film. Per le referenze ho fatto anche il suo nome, che è anzi il più importante. Può darsi quindi (può anche darsi che tutto muoia sul nascere) che le chiedano un giudizio su di me. Noi ci siamo persi di vista da parecchio tempo, però lei mi conosceva e mi stimava un tempo, anche se l’esperienza di lavoro fatta poi assieme non fu molto felice. Da allora ho sempre lavorato, studiato, vissuto nel cinema.
Come il marinaio credo che lei possa quindi, essendo noto il punto di partenza, il tempo e la rotta, calcolare con sufficiente precisione il punto di arrivo. Certo, e su questo la prego di credermi, prima di propormi come candidato alla regia ho fatto un severo esame di coscienza. Il soggetto che dovrei realizzare è mio e sviluppato da me, quindi perfettamente assimilato. Infine, credo che anche il mio temperamento si sia attraverso l’esperienza scaltrito e… temprato. Ho voluto avvertirla perché lei potrebbe riflettere un poco sulla questione e, nel caso che effettivamente si rivolgano a lei per un giudizio, possa darne uno ponderato.
E allora: Se lei crederà, naturalmente in buona fede, di potermi dare una manata sulla schiena, grazie tante. In caso contrario grazie lo stesso.
Saluti cordiali,
Pietro Germi”
E Blasetti quella ‘manata sulla schiena’ gliela dà, come del resto ha sempre fatto con tutti coloro – e sono davvero moltissimi – che glielo hanno chiesto. Fa ‘salpare’ la nave di quel ragazzo che aveva frequentato l’Istituto Nautico San Giorgio, come Germi stesso implicitamente ricorda, paragonando il maestro a un marinaio. Il produttore è Salvo d’Angelo, della prestigiosa casa di produzione cattolica Orbis-Universalia. Il soggetto di Il testimone arreca, non a caso, appuntato in un angolo, il suo biglietto da visita.
Per accogliere il progetto di Germi, d’Angelo pone la condizione che Blasetti gli faccia da supervisore. E Blasetti garantisce ufficialmente per Germi, ma in realtà non entra mai nel merito, lasciando che la sua scoperta faccia il suo cammino. Blasetti ha lo stesso atteggiamento di chi sa essere presente senza diventare invadente con il quale aveva sostenuto poco tempo prima Visconti che, alle prese con il montaggio di Ossessione, gli aveva chiesto consiglio in fase di montaggio. Blasetti gli scrive una delle lettere più belle che un regista della vecchia guardia possa scrivere ad un autore della nuova generazione; e scompare dalla scena.
Che Pietro Germi sia stato per Blasetti un vero amico con il quale condivideva non solo una certa idea di cinema, ma anche qualità morali quali l’onestà, la schiettezza, la discrezione e persino l’umiltà, è palesemente dimostrato dal suo penultimo lavoro televisivo, Il mio amico Pietro Germi (1980), andato in onda su Rai 2, in due puntate di un’ora ciascuna. Tra le carte preparatorie alla trasmissione si trova un ritaglio di periodico dal titolo Un ricordo di Germi nel trigesimo della morte, tratto dal quotidiano Il Tempo. Rosario Errigo – che all’epoca dell’uscita di Signore e Signori (1966) era presidente della Commissione di censura – chiede a Rondi di pubblicare una lettera che Germi gli aveva inviato, in occasione del ricorso presentato dalla Dear – co-produttrice del film – contro la decisione della Commissione di vietare il film a minori di 18 anni.
“Caro Errigo,
ti scrivo per ringraziarti dell’interessamento che hai prestato al mio film. Non mi sono fatto vivo prima perché ho rispetto per la delicatezza e responsabilità del tuo incarico e non volevo aver l’aria di intromettermi indebitamente.
Un’altra cosa volevo dirti: so che la Dear ha ricorso in Appello contro la decisione che vieta il film ai minori di 18 anni. Vorrei sottolineare che non entro per niente in questo appello e anzi non lo condivido. Per me va bene così. Sono sì persuaso che il mio film è non solo morale, ma addirittura moralistico. L’intento moralistico della satira mi sembra evidente. Però deve essere visto e capito criticamente da menti mature. La libertà, che io rivendico, di fare film ‘adulti’ destinati agli adulti comporta l’accettazione che quegli stessi film siano vietati ai minori. Sarei lieto che questo mio punto di vista venisse a conoscenza della commissione di appello. Capisco che questo discorso, da parte di un regista-produttore, non mancherà di sorprenderti. Ma io son fatto a modo mio. E penso che il denaro non sia l’unico scopo nella vita. Con un po’ di ritardo ma con tutto il cuore ti auguro buon anno
Pietro Germi
(a cura di Michela Zegna)