L’affinità tra Dickens e Chaplin è un’evidenza critica fin dagli anni Dieci del Novecento. Un elemento innegabile che vale però la pena di esplorare, soprattutto per quanto riguarda Il monello. In gioventù, Chaplin fece scorpacciate di Dickens in tutte le salse. Il music hall in cui si formò derivava direttamente da Dickens. Early Birds, grande successo della compagnia di Fred Karno all’epoca in cui Chaplin entrò nella ‘Fun Factory’, nel 1908, si ispirava a Oliver Twist; un altro sketch, nel quale figurava Charlie stesso, ricordava le scene oniriche di Canto di Natale.
Chaplin doveva aver letto il brano, eliminato da Dickens nella sua autobiografia ma pubblicato nel 1872, dopo la sua morte, da John Forster in Vita di Charles Dickens. Questo frammento, già rielaborato da Dickens negli anni Quaranta dell’Ottocento nei crudeli episodi dell’infanzia di David Copperfield, corrisponde perfettamente all’analisi dei sentimenti e alla rappresentazione che Chaplin dà di sé nell’autobiografia del 1964.
Dickens era anche, per Chaplin, l’esempio supremo del bambino perduto che ha fatto strada ma non ha mai dimenticato lo smarrimento iniziale. Charlie, originario del Sud di Londra, non scordò mai le proprie origini brutalmente ‘dickensiane’. Nato in una “miserabile soffitta” (come scrive in La mia autobiografia) a due passi dalla prigione di Marshalsea, nella quale il padre di Dickens era stato rinchiuso per debiti mentre il piccolo Charlie Dickens lavorava in una fabbrica di lucido per scarpe; consegnato all’ospizio dei poveri a sette anni; reso orfano dall’alcol e dalla malattia mentale; posseduto per tutta la vita dalle ossessioni tipicamente dickensiane per il cibo e le strade urbane: Chaplin decifra e rappresenta la propria fanciullezza come quella di un bambino perduto, caratterizzazione illuminata e santificata dall’identificazione con Dickens e con l’infanzia di quest’ultimo.
Chaplin sapeva a malapena leggere quando acquistò la sua prima copia di Oliver Twist (1837-39); da vecchio lo “rileggeva in continuazione”. Lo stile di quel romanzo, i suoi momenti emblematici, la sua atmosfera di “disperazione infantile” e la sua forma narrativa (come l’alternanza tra “sconsolato smarrimento” e “bizzarra” comicità negli episodi ambientati nell’ospizio per poveri) sono la moneta spicciola e insieme la struttura profonda dell’autobiografia di Chaplin.
Il monello è un rifacimento, libero ma riconoscibilissimo e a tratti esplicito, di Oliver Twist. Risente dell’attrazione gravitazionale esercitata dalla “feroce vitalità” (G.K. Chesterton) e dalla distopia urbana di Dickens in sequenze come quella dell’inseguimento sui tetti, che rimette in scena il tentativo di fuga finale dell’omicida Bill Sikes, momento prediletto degli ambiziosi adattamenti teatrali vittoriani. Come il romanzo di Dickens, Il monello di Chaplin fonda la propria struttura sulla rabbia contro le istituzioni e sulla nostalgia della madre. Nel primo capitolo di Oliver Twist, un’anonima sciagurata dà alla luce un figlio bastardo in un ospizio parrocchiale; nei primi minuti del Monello, una “Donna” il cui “solo peccato è la maternità”, dà alla luce un figlio bastardo in un ospedale di carità che sembra una prigione. L’Oliver di Dickens fugge dall’oppressione per conoscere da un lato il violento mondo criminale della banda di Fagin e dall’altro l’ambiente borghese di Mr. Brownlow, il doppio benevolo di Fagin. (Non ci sono dubbi su quale dei due mondi Dickens preferisse dal punto di vista artistico: la sua creatività fa le feste ai mascalzoni.)
Nel Monello, i doppi di Dickens si fondono in un unico personaggio e il bambino abbandonato finisce per essere salvato da Charlie, vagabondo gentiluomo svelto di mano e dalle abitudini borghesi, come le preghiere della buonanotte e la meticolosa igiene personale.
Pochi anni dopo, nell’interpretazione del piccolo Jackie Coogan, il Monello dimostra di aver imparato meglio ancora di Oliver gli imbrogli con cui il suo mentore raggira le vedove del vicinato, il contatore del gas del padrone di casa, il poliziotto di quartiere, il bullo della zona, ecc. Questo Oliver innocente reca in sé una forte impronta di quel borsaiolo in miniatura che è il Furbacchione, cui somiglia fin nel vestiario con i suoi panni troppo grandi, bel contrappunto alla giacca striminzita e ai calzoni sformati che costituiscono il segno distintivo di Charlie.
Joss Marsh