Jacques Rozier è stato forse uno dei registi più emblematici della Nouvelle Vague, Desideri nel sole (1962) resta il suo più celebre lavoro ed è con questo e con il precedente Blue Jeans (1958) che si guadagna la stima di Jean-Luc Godard utile a presenziare alle riprese del Disprezzo durante le quali può dedicarsi alla realizzazione di due interessanti cortometraggi, Paparazzi e Le parti des choses: Bardot et Godard (1963).
È curioso leggere che sul set del film nonostante la riservatezza del luogo in cui è situata Villa Malaparte, un altro regista Peter Fleischmann stia girando un breve documentario sul suo incontro con Fritz Lang, anch’egli a Capri chiamato da Godard per interpretare se stesso alle prese con una moderna versione dell’Odissea. Un set piuttosto trafficato nonché attrazione di numerosi paparazzi che sperano di immortalare la Bardot in bikini, questi sono gli scatti più venduti, ma Brigitte “non è gentile” con loro, con lo sguardo severo preso a prestito dalle statue classiche del fittizio film di Lang, accusa l’invadenza dei paparazzi che si difendono facendosi forza dei pericoli del loro mestiere, ore e ore passate sotto il sole nascosti tra le impervie rocce del rigoglioso paesaggio in cui è immersa la villa.
In Paparazzi Godard e le forze dell’ordine locali proteggono dagli occhi indiscreti che scrutano a debita distanza, una diva sfuggente a suo agio nel paradiso insulare, luogo ideale per mettere da parte l’immagine iconica che Rozier fa scorrere insistentemente davanti ai nostri occhi, intermezzi patinati nei quali si alternano ritmicamente le infinite copertine sulle quali troneggia il ritratto di una donna moderna: “illogico, disarmante, misterioso, regale”. Queste sono le parole usate da Rozier nel suo Le parti des choses: Bardot et Godard, l’altro breve cortometraggio girato a Capri nel quale il regista non si sofferma esclusivamente sulla caccia fino all’ultimo scatto della magnifica preda B.B., l’attenzione ora si sposta su tutta la troupe, sondando il metodo di Godard, “il partito delle cose”, ovvero come il regista trae vantaggio dagli elementi della realtà circostante che spesso interferiscono nella lavorazione del Disprezzo, una visione del processo creativo mai predefinito ma in continuo divenire. Rozier pone l’accento sull’evoluzione di un prodotto cinematografico, senza sminuirne il valore artistico, tanto atteso e discusso che ha come protagonisti Brigitte Bardot e Jean Luc Godard, due interpreti, paradossalmente agli antipodi, del cinema contemporaneo.
Jacques Rozier con Jean Vigo, realizzato nel 1964 per la puntata televisiva Cinéastes de notre temps, fa luce sulla breve ma intensa opera di un altro cineasta attraverso le testimonianze dei suoi collaboratori, al contrario dei due precedenti lavori sul Disprezzo, qui il documentario rientra nelle forme canoniche, l’originalità del lavoro è insita nell’atipicità del soggetto trattato, Jean Vigo non ha bisogno dei ritmi accattivanti del montaggio, l’ironia, particolarmente pungente in Paparazzi, traspare dalle interviste, amici e attori, che hanno lavorato con Vigo e che ricordano quell’esperienza con enfasi e trasporto. Ed è questo che colpisce lo spettatore, nonostante le condizioni di salute precaria del regista è la vena satirica, colonna portante in A proposito di Nizza, che muove Vigo e contagia un po’ tutti venendo rievocata nel racconto di queste esperienze irripetibili. A partire da Gilles Margaritis che sentenzia: “tutti quelli che lavoravano con Vigo avevano qualcosa di Vigo”, come a sottolineare il comune sentire della troupe, un condiviso senso dell’umorismo che secondo Jean Dasté sovrastava ogni dissidio soffocandolo sul nascere.
Questa comicità sopra le righe, erede forse della celebre frase «Je vous dis merde!» impressa dal padre di Vigo sulla copertina di La guerre sociale (ripresa nel film Zero in condotta), prevede, ad esempio, la presenza di un vero e proprio “lanciatore di gatti” sul set de L’Atalante, figura fondamentale per creare scompiglio sulla scena, e la scrittura di una scherzosa canzone ricca di giochi di parole, volutamente banali, intonata dal venditore ambulante, una scelta necessaria perché d’abitudine in ogni film è richiesto un motivetto orecchiabile.
Nel documentario non viene messo in luce solo l’aspetto ludico della realizzazione dei film di Vigo, i problemi economici e le scelte discutibili dei distributori non passano in secondo piano, come succede a L’Atalante distribuita da la Gaumont che decide di cambiare il titolo del film sulla scia del successo di una canzone popolare La Chaland qui passe, cantata da Lys Gauty (adattamento di Parlami d’amore, Mariù), una scelta commerciale discutibile e intollerabile per Vigo che sul letto di morte prende le distanze dal suo ultimo film nel quale non si riconosce più.