L'obiettivo di Agnès Varda in Jane B. par Agnès V. (1988) è ambizioso: reinventare il modo di filmare una biografia. Non più quindi il classico stile documentaristico, con il protagonista che si rivolge alla cinepresa raccontando la sua vita, corroborato da immagini descrittive e testimonianze altrui, ma qualcosa di diverso. L'idea, molto cinematografica e molto nouvelle vague, è che si possa rendere più fedelmente l'essenza di una persona con l'artificio che attraverso il presunto realismo di un approccio descrittivo. E così la pellicola alterna alcune scene in cui la protagonista Jane Birkin parla di sé, in maniera se non recitata senz'altro molto studiata, ad altre in cui interpreta brevemente vari ruoli fra i più ostentatamente disparati, da Giovanna d'Arco a Calamity Jane. Appaiono anche, poco più che comparse, l'ex compagno Serge Gainsbourg e le figlie (a loro volta future icone di stile) Charlotte Gainsbourg e Lou Doillon.
Jane Birkin, attrice non priva di talento ma soprattutto icona visuale del XX secolo, sembra qui presa dal tentativo (col senno di poi, fallito) di far passare in secondo piano l'ultimo aspetto a favore del primo, alle soglie dei suoi 40 anni. Le impressioni suscitate da questo tour de force interpretativo ideato dalla Varda sono altalenanti: alcune vignette risultano abbastanza spassose (soprattutto quella in cui Jane interpreta una musa della classicità, prendendo in giro il suo eterno destino), altre ben poco convincenti a partire dal soggetto e dalla regia (lo pseudo poliziesco con tanto di scena d'azione finale), altre ancora francamente terribili (la Birkin e Laura Betti nei panni di Stanlio e Ollio, incapaci di strappare il benché minimo sorriso). L'evidente ironia di fondo non basta a salvare il tutto, perché non pare rivolta a nulla che non sia il “mettere le mani avanti” in anticipo rispetto a qualsiasi manchevolezza stilistica e narrativa.
In particolare, in questo affastellamento di immagini femminili, la Varda riesce sì a restituire una certa versatilità della Birkin, ma forse non a raccontarne il fascino che l'ha resa una star. E il risultato rischia una certa autoreferenzialità. In conclusione, che dire: certamente non una Varda al suo meglio, ma un tentativo comprensibile e storicamente contestualizzabile di rompere con la tradizione e portare qualcosa di nuovo nel linguaggio narrativo biografico. Poi magari non tutte le ciambelle vengono col buco, ma, per gli estimatori della Varda, il coraggio della sua visione artistica si vede anche da qui.