Tutto ha origine da uno sparo. C’è l’attesa, il silenzio, la routine di un lavoro e poi uno sparo. Un morto. E da questo si diramano storie e linee narrative che a loro volta si moltiplicano, mutando ed evolvendo sempre più. I personaggi sono molteplici e criptici. C’è un vice-sceriffo che si ritrova in mezzo alla criminalità organizzata, saltando tra giustizia privata e pubblica. C’è un messicano chiamato a vendicare la madre. C’è un uomo che uccide solo pedofili o stupratori. C’è il cartello messicano che, in Messico, gioca a calcio con la polizia. C’è la polizia di Los Angeles che interpreta il delirio della contemporaneità, urlando in coro “fascismo” e “fake news”. C’è il cartello afro-americano, la Yakuza, dei registi porno e tanto altro.
Too Old to Die Young potrebbe sembrare una serie antologica “a sé”, se non fosse che questa strabordante presenza di soggetti e situazioni, ben appartiene al delirio del cinema di Refn; tanto che il regista stesso (come ormai di consuetudine per i cineasti che si cimentano in serialità) lo definisce un film di 13 ore. Questo ultimo lavoro è, infatti, in piena continuità estetica (fotografia al neon) e contenutistica (tendenza al noir e pulp) con i precedenti film come The Neon Demon, Solo Dio perdona e, anche, Drive. A differenza, dell’auto-citazionista Twin Peaks di David Lynch, a cui pare più sensato paragonarlo, questo è un tassello nuovo e preciso di una filmografia in continua crescita e sperimentazione.
Refn mette in atto un lavoro sull’attesa. L’immagine, in Too Old to Die Young, indugia, precede. Precede un omicidio, una sparatoria, un inseguimento o, anche, solamente un dialogo. Quello che restituisce è un forte realismo dei tempi che, mescolato ad un estetica al neon, saturata, porta alla sinterizzazione di un’opera in bilico tra surrealismo e grottesco. Le lunghe carrellate e panoramiche, inoltre, contribuiscono ad imporre tempi dilatati e a restituire una lentezza ipnotica, quasi rituale. Tra le tante realtà, infatti, c’è anche quella magica/sciamanica, c’è una “sacerdotessa della morte” e ci sono i tarocchi, con i loro significati e con i loro nomi che danno i titoli ai dieci episodi.
Il delirio delle immagini si fa espressione del delirio dell’uomo e di una società alla deriva. Continui discorsi esistenzialisti, disillusi, compaiono tra una sparatoria e un omicidio. L’umanità si sta auto-distruggendo. Uccidere potrebbe essere la sua cura come il suo veleno. Questa serie racconta la discesa e l’ascesa. Una discesa agli inferi, dove nascondersi o morire. Ma anche una ascesa attraverso la quale avere la propria rivincita. Un eccesso di ruoli maschili viene contrapposto a figure femminili, di forza indiscussa, che ribaltano il proprio ruolo, dominando e imponendo la loro centralità. Questa deriva è data dalla ossessiva mancanza di qualcosa, dall’assenza di una figura materna continuamente ricercata, che può essere un genitore, come la terra. Una figura da vendicare o, attraverso la quale, vendicarsi.