Age & Scarpelli. Una ditta, con quella “e” commerciale che allude alla natura mercantile dell’impresa. Come Metz & Marchesi ma non Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, anche loro sempre in coppia ma spesso in dialogo con altre figure. Gli stessi Age & Scarpelli, in realtà, si confrontavano con colleghi, dal maestro Sergio Amidei a Luciano Vincenzoni passando per Ettore Scola. Ed è proprio quest’ultimo a rivelarci il segreto – se vogliamo chiamarlo così – di un legame durato oltre trent’anni: “la simbiosi di due modi diversi di essere”. All’unione di questi due geni complementari, umoristi satirici nati nel cinema comico e diventati massimi narratori della società, dobbiamo centodiciassette sceneggiature, tra cui La banda degli onesti, I soliti ignoti, La grande guerra, Tutti a casa, I compagni, Sedotta e abbandonata, L’armata Brancaleone, Signore & signori, Il buono, il brutto, il cattivo, Dramma della gelosia, In nome del popolo italiano, C’eravamo tanto amati, Romanzo popolare, La terrazza. Anche a voi tremano i polsi, vero?

Insomma, non serve un pretesto per tornare su di loro. Però Agenore Incrocci e Furio Scarpelli nacquero entrambi cento anni fa. L’uno il 4 luglio a Brescia, dove i genitori erano in tournée (“non ci sono mai tornato!”: infatti era romanissimo); e l’altro, a Roma, il 16 dicembre. Doppio anniversario. Ma, mentre su Scarpelli esistono monografie e omaggi che ne celebrano la cultura eclettica, il talento poliedrico, la tempestosità emotiva e l’attività didattica, Age resta un po’ più defilato. E su di lui vorremmo tornare.

Se Scarpelli, vulcanico disegnatore che si esaltava nella creazione dei personaggi, lasciava esplodere la curiosità, il disordine, la vis polemica delle sue radici tosco-napoletane, Age, in principio giornalista, era un battutista che contrappesava il sodale con la puntualità, il rigore, la trasparenza dell’ingegnere, del costruttore, dello “scalettatore”. Dopo decenni di successi e furibonde litigate propedeutiche (“litighiamo in continuazione, siamo famosi per questo”, spiega Age a Franca Faldini e Goffredo Fofi, “è proprio il contraddittorio a spingerti a dire tutta la serie di ragioni per cui difendi un certo punto di vista”), si separarono come tutti gli innamorati che si sono tanto amati: con dolore ma anche la certezza della fine di qualcosa, senza dimenticare la profondità dell’amicizia. In un documentario diretto da Paolo Virzì, La strana coppia, c’è sì una memorabile tavolata con il duo, Suso Cecchi D’Amico, Vincenzoni e De Bernardi che ricordano, scherzano e raccontano, ma vediamo soprattutto le camminate dei due vecchi amici in mezzo a turisti e ronzini che valgono più di molte parole.

Dopo la rottura, Scarpelli ha continuato a scrivere tanto: La famiglia, Il postino (per cui fu candidato all’Oscar), Ovosodo, per esempio. E, grazie alle sue lezioni al Centro Sperimentale, ha formato, allevato, strigliato, coccolato una generazione di nuovi autori che ne riconoscevano il magistero, da Virzì stesso a Francesco Bruni fino alla prediletta Francesca Archibugi, assumendo connotati mitici che ritroviamo nella reinvenzione di Roberto Herlitzka nell’incompreso Notti magiche. Age, invece, si è sostanzialmente fermato dopo qualche copione degli anni Ottanta: Lina Wertmüller lo volle per Scherzo del destino, Dino Risi per Dagobert. Nel 1990, però, pubblicò un fortunato e agile manuale di sceneggiatura, Scriviamo un film. Due modi d’intendere la didattica, ancora una volta complementari: per Scarpelli la lezione da dare ai più giovani era nella pratica, per Age si doveva partire dalla teoria.

“Chi crede che si possa scrivere per il cinema (e sono molti)”, scrive Incrocci, “senza conoscere la tecnica della scrittura cinematografica si sbaglia. La tecnica assiste e sostiene la fantasia e l’ispirazione – quando ci sono – e viene dall’esperienza, dallo studio e dall’osservazione di ciò che gli altri fanno e, soprattutto, hanno fatto prima di noi”. A leggere bene tra le righe, è anche la sua autobiografia intellettuale, dove, nel mettere insieme le norme e non le eccezioni di un mestiere “fatto di regole collaudate che dovrebbero dare un certo margine di sicurezza” (l’importanza della scaletta!), racconta indirettamente la sua avventura professionale. “Si comincia parlando. Parliamo, parliamo, diciamo cose (in gergo: ‘diciamo stronzate’). Parliamo perché non dobbiamo essere soli con noi, davanti a noi stessi. Scioriniamo, affastelliamo, mettiamo a confronto. Certo, capita anche che arrivi uno che dice ‘Io avrei un’idea’. Bene, che la dica”.

E qui vedi il grande scrittore: vedi Age e Scarpelli attorno a un tavolo, la riunione di sceneggiatura, le penne e le macchine da scrivere, le chiacchiere e il litigio in agguato, il produttore da accontentare e le ambizioni, il film da fare e quello che mai si farà. Non c’è nessun aneddoto personale, in queste pagine. Tuttavia, c’è la vita.