“La donna di Parigi” miglior film dell’anno

In periodo di classifiche di fine anno è sorprendente scoprire che La donna di Parigi di Charlie Chaplin, del 1923, svettava in cima alle liste di due rinomati critici americani, Andrew Sarris e Molly Haskell, nell’anno… 1976! In occasione dell’uscita del cofanetto edito dalla Cineteca di Bologna, riportiamo due brani dal libretto che accompagna il film, il primo tratto dall’introduzione della curatrice Cecilia Cenciarelli, il secondo, appunto, l’articolo di Andrew Sarris che eleggeva Chaplin a trionfatore tra le proposte cinematografiche di quell’anno.

Hollywood Chaplin

Inviato speciale della United Press, Henry Gris fu l’unico giornalista presente sul set durante gli ultimi giorni di riprese di Luci della ribalta, tra il gennaio e il febbraio del 1952. Oltre a conservare alcuni ritagli stampa tratti dal reportage di Gris, tra le carte del fondo Chaplin della Cineteca di Bologna figura l’articolo integrale, rimasto inedito per oltre settant’anni. La prima parte è stata pubblicata in italiano nel libretto di Limelight – Luci della ribalta, edito dalla Cineteca di Bologna a novembre. Qui pubblichiamo una parte ulteriore. 

Chaplin incontra Fellini. Dialogo sopra due massimi sistemi

Se come scrive Jean Starobinski, l’altezza vertiginosa è al contempo la dimensione del clown acrobata e l’allegoria dell’atto poetico e creativo, allora, si può immaginare Fellini come un funambolo che, per attraversare l’abisso che lo separa dal suo film, mette in scena i propri incubi, fobie e desideri, compiendo metaforicamente un numero acrobatico che non ha bisogno di nessuna giustificazione al di fuori sé. Ciò che libera Fellini/Guido, ciò che lo redime è un atto d’amore nei confronti del mondo dell’arte, un atto di fiducia totale nelle infinite possibilità di combinazione della sua fantasia. Similmente Chaplin/Charlot si libera delle proprie angosce rappresentandole in forma di pura poesia visiva.

“La donna di Parigi” primo Chaplin senza Charlot

Per Chaplin ne 1923 girare La donna di Parigi è l’occasione giusta per tradurre in forma metaforica le proprie ispirazioni di natura privata, pur tentando di produrre qualcosa di totalmente diverso, definito dai più un autentico film d’arte e una pietra miliare per i registi delle generazioni successive. Ambientato “nella magica città di Parigi dove la fortuna è volubile”, il personaggio della timida Marie St. Clair viene cucito su misura per l’attrice Edna Purviance, musa di Chaplin dal 1915.

L’elegia del clown triste. Charlie Chaplin e “Luci della città”

È un cinema fatto tutto di sguardi e di dettagli, di campi e controcampi, è un uso emotivo delle immagini che si fa pura poesia visiva, sostenuta da una colonna sonora particolarmente malinconica; una poesia che si ripeterà nei numerosi incontri fra i due e tornerà specularmente nel commovente finale, intriso di amore puro e platonico: quando cioè la ragazza ha riacquistato la vista, e capisce l’identità del suo benefattore solo toccandogli la mano. I pannelli coi dialoghi scritti sono ridotti al minimo, e Chaplin manifesta i sentimenti con un uso archetipico e primigenio delle immagini e della musica, confermandosi un genio assoluto della storia del cinema.

Jean Renoir legge Charlie Chaplin

Tempi moderniMonsieur Verdoux e Luci della ribalta sono probabilmente i film più complessi da affrontare della filmografia di Charlie Chaplin e Jean Renoir nei suoi scritti li affronta tutti e tre. “Questo rinnovamento interiore è uno dei segni del genio. Presuppone un coraggio forse inconscio, ma innegabile. Pochi autori possiedono questo coraggio. Credono di mettersi al livello di quella che chiamano ‘la massa’, evitano accuratamente ogni originalità interiore, e si limitano a dare l’impressione del rinnovamento […]. Aspetto con impazienza il momento in cui questa massa, che essi credono di aver conquistato, avrà infine la sua parola da dire e spazzerà via come si deve tutta questa elegante gentaglia”.

Il comico tragico. Appunti su “Il grande dittatore”

Durante il fascismo il film venne proibito dal MinCulPop che ordinò di “ignorare la pellicola propagandistica dell’ebreo Chaplin”. Infatti Il grande dittatore debuttò, nella sua versione integrale, sugli schermi italiani quattro anni dopo, a Roma nell’ottobre del 1944, e rimase in programmazione per un lungo periodo in diverse città d’Italia. “Giunse nell’immediato dopoguerra; ma su un pubblico che aveva assistito alle successive tappe di quella follia, che aveva sofferto sulle proprie carni e sul proprio spirito i disastri della guerra e della sconfitta, che aveva saputo dei forni crematori, il film apparve inadeguato, un riflesso troppo pallido della realtà”, così scrive Ugo Casiraghi nell’ottobre del 1960 su l’Unità.

“Il circo” tra comicità e arte popolare

L’indipendenza creativa di cui gode non è affatto cosa comune per l’epoca e Chaplin ne è consapevole, quindi decide di inserire il personaggio del proprietario del circo sempre pronto a licenziare un suo artista, indipendentemente dal suo talento, nel momento i cui smette di riscuotere il favore del pubblico. Insieme a questa amara considerazione sulla popolarità in campo artistico, Chaplin si interroga sul funzionamento della comicità. Sembra suggerire che la comicità nasca dalla naturalezza quanto dalla disposizione d’animo, poiché alla delusione amorosa di Charlot corrisponde l’insuccesso delle sue esibizioni. Sentimentale e riflessivo, Il circo non gode purtroppo della stessa fama del successivo Luci della città, segno del fatto, forse, che le considerazioni di Chaplin erano giuste.

Intervista a Timothy Brock

In occasione della XXXIII edizione del festival del Cinema Ritrovato abbiamo pensato fare alcune domande al Maestro Timothy Brock, direttore e compositore specializzato nell’accompagnamento dal vivo di film muti e che dal 1999 si occupa di preservare e restaurare le colonne sonore dell’archivio Chaplin. In questi nove giorni di celebrazione del restauro e della passione per il cinema Brock dirige, per ben due volte, l’orchestra del Teatro Comunale. In questa edizione, per il cineconcerto in Piazza Maggiore de Il Cameraman di Buster Keaton, il Maestro ha composto una partitura, per poco meno di venti elementi, arricchita da passaggi musicalmente e sentimentalmente profondi e complessi.

Mario e Charlot: due icone a confronto

Charlot e Mario sono stati al centro di un passaggio epocale che ha coinvolto i rispettivi media di appartenenza. Due icone rappresentative di due visioni del mondo a prima vista superate dal progredire della tecnica. Charlot e Mario sono simulacri assurti alla dimensione di icone, creati ad hoc da due autori, Charles Chaplin e Shigeru Miyamoto. Uno nato a Londra alla fine dell’Ottocento, l’altro vicino a Kyoto nel 1952. Se è sicuro che Chaplin non abbia mai giocato a una delle avventure di Mario, è invece assai probabile che Miyamoto abbia visto, da ragazzo, alcune delle comiche di Charlot. Interrogato a tal proposito, Miyamoto ha negato qualsiasi forma di ispirazione a Charlot durante la creazione del personaggio di Mario. Eppure, quelle corse segnate da cambi di direzione così prossemicamente marcati, l’immancabile calcio nel sedere al bruto di turno, o ancora quelle sessioni di aggraziato pattinaggio, sono tutti piccoli dettagli che accomunano i nostri beniamini.

Il 1918 di Chaplin e Lubitsch al Cinema Ritrovato 2018

Der Fall Rosentopf e Shoulder Arms (o Charlot Soldato), due film coevi, prodotti nel 1918, diretti e interpretati uno da Ernst Lubitsch e l’altro da Charles Chaplin; non è forse un caso che siano stati inseriti nella stessa programmazione e nella sezione “Cento anni fa: 1918 – Ritrovati e Restaurati”: entrambi hanno in comune più di quanto si possa credere. Innanzitutto fanno ridere. Tanto. E c’è anche da dire che è la fine della Grande Guerra. Tant’è che, nonostante questo “piccolo” particolare, Lubitsch e Chaplin scelgono di continuare a lavorare sulle produzioni comiche. Lubitsch serve l’antipasto di quel che sarà il suo Lubitsch touch poco tempo dopo: il suo investigatore Sally è già deliziosamente irriverente.

Dickens e Chaplin o le affinità elettive

L’affinità tra Dickens e Chaplin è un’evidenza critica fin dagli anni Dieci del Novecento. Un elemento innegabile che vale però la pena di esplorare, soprattutto per quanto riguarda Il monello. In gioventù, Chaplin fece scorpacciate di Dickens in tutte le salse. Il music hall in cui si formò derivava direttamente da Dickens. Early Birds, grande successo della compagnia di Fred Karno all’epoca in cui Chaplin entrò nella ‘Fun Factory’, nel 1908, si ispirava a Oliver Twist; un altro sketch, nel quale figurava Charlie stesso, ricordava le scene oniriche di Canto di Natale.

Chaplin, “Il monello” e il montaggio

Eccoci ancora a parlare di Buster e Charlot, in occasione dell’uscita di Il monello. Storico collaboratore di Charlie Chaplin, Roland ‘Rollie’ Totheroh ricorda, a distanza di anni, il rocambolesco montaggio del Monello, segnato dalla battaglia legale dovuta al divorzio di Chaplin da Mildred Harris. Venne l’epoca del divorzio da Mildred Harris e dovemmo lasciare la città perché i legali minacciavano di pignorare tutti i beni di Charlie. All’epoca abitavo in Highland Avenue con mio figlio...