“Grand Tour” speciale III – L’ultimo spettacolo alla fine dell’impero
In tempi più vergini di immagini, le prime riprese cinematografiche di terre esotiche rappresentarono per molti spettatori il primo sguardo su mondi lontani, accorciando le distanze, come già fece la ferrovia. Ma nel cinema di Miguel Gomes i binari narrativi che promettono di ricongiungere direttamente questi mondi sono inaffidabili, il treno è destinato al deragliamento, la narrazione alla divagazione.
“Grand Tour” speciale II – La Storia come “objet trouvé”
Il cinema di Gomes circumnaviga il mondo e così si gioca un’utopia tutta sua: non si accontenta di esistere in una porzione circoscrivibile di realtà e di assomigliarle, ma scommette di far accadere in quello spazio fisicamente limitato – più che lo schermo di per sé, quanto sta tra la macchina da presa e lo schermo, la distanza che ogni giorno, ogni notte, chissà quante volte un proiettore trasforma in un fascio di luce – un ulteriore pezzo di mondo che prima non c’era, e nel farlo ne inventa le regole per poi sempre stravolgerle.
“Grand Tour” speciale I – Dal cinema delle origini all’immaginario fantastico
Come uno dei primi cameramen inviati nel mondo dai fratelli Lumière, Miguel Gomes realizza una somma di vedute che fondono il passato con il presente, la leggenda con la realtà, e che ampliano l’immaginario cinematografico e tematico del regista portoghese. L’opera vincitrice del premio per la miglior regia a Cannes racchiude in sé molteplici discorsi – colonialismo e post-colonialismo; orientalismo; cinema delle origini; meta-cinema; livelli diegetici – celati dietro una storia d’amore impossibile.