“Full Metal Jacket” nel nuovo ordine mondiale

Se paragoniamo, come ci sembra sensato fare, il recinto che separa gli Höss dal campo di Auschwitz ne La zona d’interesse alla caserma di Kubrick, notiamo come lo spazio e i personaggi che lo abitano siano esplorati in modo completamente diverso. Nel primo, le macchine da presa nascoste e dislocate in casa e giardino nell’architettura alla Grande fratello pensata da Glazer, nel secondo quanto detto sopra. Finalità di entrambi: disumanizzarci precipitandoci nella disumanizzazione altrui.

Il perturbante, Freud e Kubrick. Ripensando “Shining”

Shining è un film che rientra nei canoni del genere horror affrontati in un’ottica freudiana: “Freud affermò che il perturbante costituisce l’unica sensazione che si provi con maggiore forza sia nell’arte sia nella vita. Se questo genere avesse bisogno di qualche giustificazione, credo proprio che questa basterebbe come credenziale”. Per perturbante si intende, citando Freud, “quando appare realmente ai nostri occhi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando il simbolo assume pienamente la funzione e il significato di ciò che è simboleggiato”.

“Paura e desiderio” del cinema di Kubrick

Incarnando le passioni primarie negli sguardi allucinati e nei gesti violenti dei personaggi, Paura e desiderio si presenta come un film spinoziano, non meno che shakespeariano, dove la ragione abita la natura silente e fintamente immobile (il sottobosco tormentato dalle mani di Corby e del soldato semplice Sidney, il fiume dove “scorre” il monologo interiore del sergente Mac) e agli uomini non resta che abbandonarsi agli istinti omicidi e alla sopraffazione sessuale, ma anche ai deliri ispirati al Prospero della Tempesta, alla speranza di un incantesimo di salvezza.

La fotocinematografia di Stanley Kubrick

Edito da Mimesis, Look Over Look. Il cuore fotografico del cinema di Stanley Kubrick viene a colmare una significativa lacuna negli studi dedicati al grande regista newyorkese, evidenziando l’influenza che la fotografia ha avuto da sempre nella formazione artistica del cineasta, che esordì a 17 anni proprio come fotoreporter per la rivista “Look”. Ne parliamo con l’autrice Caterina Martino, studiosa di storia e teoria della fotografia italiana e internazionale nei suoi rapporti con le altre arti (in particolare cinema) e con il dibattito filosofico contemporaneo.

Kubrick, New York e la vita dello spirito

La produzione fotografica di Stanley Kubrick sta ricevendo un interesse sempre maggiore da parte della critica: diverse mostre, tra cui quella a Trieste al Magazzino delle Idee da poco conclusa, e un importante catalogo edito da Taschen celebrano le fotografie scattate dal giovane Kubrick, principalmente a New York dal 1945 al 1950, durante gli anni di lavoro per la rivista Look. Già in passato erano state apprezzati singoli scatti di questo periodo, come la celebre prima foto venduta alla rivista, “April, 1945”, in cui un inconsolabile giornalaio è circondato da titoli che annunciano la morte di Franklin D. Roosevelt.

Kubrick e la satira

Ancora oggi non è facile descrivere il tono di Il dottor Stranamore. Forse perché il concetto di satira è frainteso e distorto. E allora cerchiamo di capire, attraverso l’autore e alcuni studiosi, il modo in cui Kubrick ha lavorato su materiali espressivi e scrittura per ottenere la straordinaria, urticante deformazione ironica presente nel film: “Iniziai a lavorare alla sceneggiatura con tutta l’intenzione di fare un trattamento serio del problema di una incidentale guerra atomica. Mentre cercavo di immaginare il modo in cui le cose sarebbero avvenute nella realtà, continuavano a venirmi in mente delle idee che scartavo perché ridicole. Ripetevo a me stesso: ‘Non posso farlo. La gente riderà’. Ma dopo circa un mese iniziai a rendermi conto che le cose che stavo eliminando erano quelle più veritiere”.

“Il dottor Stranamore”. Ovvero: come siamo bravi a non fare i conti con la realtà

La depressione e l’impotenza del generale Ripper, l’ingenuità e l’obbedienza del colonello Mandrake, la superficialità e il carattere rissoso del generale Turgidson, l’imbarazzo e l’indecisione del Presidente degli Stati Uniti, l’ubriachezza e l’isteria del Premier russo, l’inadeguatezza fisica e mentale del dottor Stranamore. Ecco la storia umana: se è troppo faticoso guardare ai propri limiti e difetti, nulla rimane se non l’egoismo, l’ottusità e la condanna altrui. Tra accuse di anti-patriottismo e di propaganda filo-russa, ma anche elogi per il coraggio, l’abilità registica e la poesia, il film riuscì allora a tradurre sullo schermo tutte le contraddizioni della società moderna.

“Il dottor Stranamore” e la critica dell’epoca

Anche questa volta, in occasione della distribuzione di Il dottor Stranamore nel contesto del progetto “Cinema Ritrovato. Al cinema”, offriamo alcuni spunti della critica coeva al capolavoro di Stanley Kubrick, così da recuperare gli umori circolanti all’epoca. Giovanni Grazzini, nel 1964, per esempio scriveva: “Realizzato con intenti grotteschi, il film dà perciò forti unghiate a certe tipiche componenti dello spirito americano, (come già Kubrick fece con Lolita), ma nel contempo non risparmia i sovietici; se esso è di volta in volta una satira del film di guerra, del western, del suspense e del giallo psicologico, nel suo complesso ha accenti di elegante ironia sulla disperata condizione dell’uomo contemporaneo. Una commedia, insomma, la quale, come Il dittatore di Chaplin, è nata dalla disperazione”.

Fellini e la fantascienza tra Flash Gordon e “8½”

Fellini non ha mai nascosto la sua passione per Flash Gordon, space opera a fumetti di cui voleva dirigere un adattamento per il grande schermo. La pellicola fantascientifica di Guido non si farà, come il Flash Gordon felliniano, ma l’enorme rampa di lancio resta, ormai costruita, a testimoniare la sua débâcle. Promessa mai realizzata, il non-film all’interno di descrive efficacemente il ruolo che acquisiranno le produzioni degli anni Sessanta nella storia della fantascienza italiana. Il sci-fi tricolore non ha mai avuto vita facile: un mix di fattori culturali ed economici hanno impedito al nostro paese di elaborare una lettura alternativa del genere, invadendo le proprie sale con xerox di pellicole americane, film-metafora colti e sporadiche imprese.

Kubrick: Auteur in mostra

In occasione del ventesimo anniversario della morte di Kubrick, il Design Museum di Londra offre l’opportunità di un immersivo viaggio autoriale lungo tutto il processo creativo dietro ad ogni film del regista, documentando le diverse fasi della produzione artistica. I 500 oggetti in mostra sono, quindi, i più diversi: note di regia scarabocchiate su disegni di set e inquadrature, story-board di film (Saul Bass per Spartacus), obiettivi e lenti valorizzati da Kubrick come lo Zeiss F0.7 da 50 mm utilizzato in Barry Lyndon per rendere l’atmosfera del tardo Settecento girando alla sola luce delle candele, macchine per il montaggio come quella utilizzata per Full Metal Jacket. Il filo rosso che accomuna tutti questi materiali è la maniacale e quasi ossessiva cura di Kubrick per i minimi dettagli e la sua ambizione autoriale di esercitare il controllo artistico su tutto l’arco produttivo delle sue opere.

Audiovisione di “Shining”

Il tempo e la follia umana si annullano in quella che, a distanza di quasi quarant’anni, è ancora una delle messe in scena più potenti di tutto il cinema post-moderno. Shining torna al cinema, stavolta con montaggio diverso (una manciata di sequenza in più che Kubrick stesso decise di recidere per il mercato europeo), per travolgere ancora le platee con l’ormai famosa ”onda di terrore”. Dicitura che campeggiava sui manifesti del 1980 e che ha contribuito a consacrare il film come uno dei pilastri fondamentali del cinema horror.

Barry Lyndon visto oggi (seconda parte)

Cinefilia Ritrovata ha chiesto ai suoi collaboratori, per lo più giovani, di dire la loro sul capolavoro di Stanley Kubrick, purché rivisto oggi, quarant’anni dopo, in sala, nel restauro digitale. Bisognava insomma “re-incontrare” il film, nella sua versione originale con sottotitoli italiani, anche per riassaporarne l’immersione totale. Ecco (in due tranche) il ventaglio di recensioni e analisi che ne è scaturito. Parte II, segue:

Barry Lyndon visto oggi (prima parte)

Cinefilia Ritrovata ha chiesto ai suoi collaboratori, per lo più giovani, di dire la loro sul capolavoro di Stanley Kubrick, purché rivisto oggi, quarant’anni dopo, in sala, nel restauro digitale. Bisognava insomma “re-incontrare” il film, nella sua versione originale con sottotitoli italiani, anche per riassaporarne l’immersione totale. Ecco (in due tranche) il ventaglio di recensioni e analisi che ne è scaturito. Parte I, segue: