Solo un regista come Harmony Korine poteva sostenere, come ha fatto recentemente, che il trailer di Call of Duty fosse migliore di qualsiasi film di Steven Spielberg. Eppure, per quanto provocatoria e frivola, questa affermazione dice benissimo di sé, del suo modo di lavorare e della sua via nel concepire un lavoro visivo, sempre incentrata sul tracciare percorsi, immaginare nuove traiettorie ed esplorare terreni incontaminati.
Un regista “di rottura”, non c’è dubbio, ma soprattutto una specie di insaziabile osservatore che concepisce queste sue ricerche sempre nell’ottica di considerare come oggetto primario le culture visuali. Pensiamo ai videotape sgranati, da cinema di famiglia, di Gummo o a quell’estetica da videoclip anni ‘10 di Spring Breakers. Korine si è sempre confrontato con gli immaginari in senso lato e questa volta potrebbe averlo fatto di nuovo.
Innanzitutto Aggro Dr1ft non è neanche un film, ma un’immersione psichedelica in una Miami crepuscolare abitata da assassini. Tra piscine, villette, yatch e auto di lusso, un sicario è alla ricerca del suo obiettivo. Nel frattempo a muoversi davvero è l’immagine, girata interamente con lenti termiche, ma continuamente in mutazione di colore e di forma.
Volendo evidenziare un discorso sui dispositivi, sui supporti visivi e sulla cultura visuale contemporanea, Korine prova ad andare oltre il cinema passando all’immaginario videoludico. Lo chiama “GAMECORE” ed è quello che con la sua “fabbrica creativa” Edglrd sembra voler inaugurare tra IA e game design. Quindi, mentre Hollywood dichiara guerra ai rischi di alcune “evoluzioni” tecnologiche, lui cavalca l’onda cercando qualcosa oltre.
Eppure Aggro Dr1ft è estremamente mimetico. Nei movimenti, nell’immaginario, nei dialoghi e nel paesaggio umano sembra di vedere un GTA sotto allucinazioni. Ma soprattutto nella visione del mondo e nell’approccio antropologico si vede perfettamente quel tono crepuscolare simil-reazionario (è molto ricorrente la figura del mondo decadente che va riportato a una gloria originaria) che spesso identifica le due grandi ideologie chiave del mondo del videogioco – così come le analizzava un volume a cura di Matteo Bittanti Game Over. Critica della ragione videoludica – ovvero: il criptofascismo e il neoliberismo.
Ovviamente in questo grande universo c’è sempre chi si smarca da alcune di queste traiettorie. Se per esempio volessimo restare sui lavori “audiovisivi tradizionali” quelle oggi più interessanti rimangono le decostruzioni politiche del collettivo Total Refusal: dal corto che analizza l’impossibilità di disertare in Battlefield (How to Disappear - Deserting Battlefield) a quello dedicato a un npc (personaggio non giocante) di Red Dead Redemption 2 che, osservando il suo incessante loop di lavoro 24 ore al giorno, ne affianca una lettura sulla condizione del lavoro nella società contemporanea (Hardly Working).
Ma tralasciando i numerosissimi lavori possibili e tutte le questioni identitarie e ideologiche – che comunque rimangono un dato, anche se ci parla di altro rispetto a questo film – Aggro Dr1ft imita, ma rielabora. È un lavoro di linguaggio e di media, di visualizzazione digitale. Un luogo di conflitto estetico. Post-cinema o meno è indispensabile andarci, seguirlo e vederlo.