In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli. È la volta di 8 e ½ e delle acute considerazioni sul film di Alberto Arbasino, scomparso il 22 marzo scorso. In questo pezzo di altissima levatura, apparso su "Il Giorno", il 6 marzo 1963, lo scrittore sfodera tutte le armi del suo ben fornito arsenale letterario, riconoscendo a Fellini il ruolo di profeta del nuovo Verbo cinematografico. Nel testo sono presenti tutti gli elementi fortemente critici verso una tessitura narrativa tradizionalmente intesa che, nell’ottobre dello stesso anno, spinsero Arbasino stesso e altri intellettuali tra cui Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Edorardo Sanguineti e Giuliano Scabia a fondare il Gruppo 63 con l’intento di sperimentare nuove forme linguistiche. La cultura italiana ha perso un grande talento nell’arte di saper leggere con lucidità e umorismo la società contemporanea.
La zampata di Fellini alla letteratura del '900, "Il Giorno", 6 marzo 1963
di Alberto Arbasino
La dolce vita era "la resa fenomenologica del mondo esterno al regista" (Bianchi): un enorme occhio avidamente spalancato sulla realtà per annettersi tantissimi fatti. In Otto e mezzo il rapporto si rovescia: un torrente di immagini della fantasia si riversa sopra il mondo esteriore e lo ricopre, modifica la realtà, cancella alcuni fatti, altri ne mette in dubbio, trasforma i personaggi in statue di sale. Non per nulla le vediamo alla fine tutte faustianamente in fila, le creature dell'immaginazione messe a confronto col loro creatore, come in un Pirandello non lucido e razionale e "loico" ma minestroso e budelloso, come nell'avanguardia millenaria più viscerale e "umida". Però il fatto sconvolgente è constatare come Fellini mettendo al fuoco del surrealismo i suoi pentoloni di zuppa cinematografica dia in realtà una gran zampata alla storia letteraria, volontariamente o no, divorando quintali di "madeleines" […].
E questo film è una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca. Già La dolce vita, con la sua struttura a blocchi, indicava una strada significativa sia nel cinema sia nella letteratura. Otto e mezzo, invece, non soltanto si lascia indietro di un mucchio d'anni quasi tutto il cinema che si fa correntemente, casca per di più sopra la nostra narrativa nel momento più sensibile della frizione tra convenzione e avanguardia, e le può dare una bella botta in direzione dello sperimentalismo, cioè del futuro, per quello che riguarda fra l'altro i problemi dell'essere, dello scrivere, del rapporto con la realtà. […]
Ecco quindi l'opera aperta spalancarsi in tutte le direzioni, a tutte le possibilità, proliferando selvaggiamente, procedendo per accumulo, disposta a tutti i significati probabili, senza chiudersi nessuna strada, inglobando i materiali più eterogenei... tutto va bene, "tout se tient"... ammettendo (cattolicamente e dialetticamente...) tutti gli opposti […].
Nella storia della narrativa si sono composte fino a una certa epoca opere perfettamente compiute e finite, che bruciavano in sé tutti i materiali usati durante la stesura […]. Ma a un tratto il romanziere si trova a disagio. "S'avvede che la realtà da esprimere si è dilatata, fatta abnorme, non è più assolutamente recensibile con gli strumenti ordinari: il romanzo psicologico, il romanzo di costume, quello di memoria, il romanzo oggettivo e quello ideologico" (Gramigna). Accanto all'opera conclusa cominciano ad apparire i "giornali di bordo" della stesura, il "Diario dei falsari" accanto ai Falsari, e accanto al Doktor Faustus il "Romanzo di un romanzo". […] Come passo successivo si infiltra nel romanzo la tentazione del romanzo non più sul romanzo ma sulla impossibilità di scrivere il romanzo. […].
Eccoci dunque a Fellini, involontariamente (e perfettamente) descritto dai nostri critici letterari più fini. "L'astrattezza del suo spirito è sempre tentata dalla soggettività" - come scrive del resto Citati a proposito di Musil. […]. Il "magico" di Fellini, il senso del suo film "in un'epoca come la nostra che per la sua nuda rozzezza altro non riesce a sopportare se non ciò che è assolutamente immediato e a tutto il resto rifiuta consistenza" (Broch), le ragioni per cui gli si è grati di portare avanti di colpo la storia "interna" della narrativa, a costo di servirsi di mistificazioni e di intimidazioni, è di avere inteso che "il romanzo non può consentirci nessun rifiuto, non già come imitazione della vita ma come vita che si istituisce via via, criticamente, una volta per tutte" (Gramigna) […].