All these places had their moments
With lovers and friends, I still can recall
Some are dead, and some are living
In my life, I've loved them all
Un momento imperdibile dell'edizione 2019 di Archivio Aperto è stato l'incontro con Boris Lehman: Alla presenza del regista di origini ebraiche polacche, le proiezioni, rigorosamente in pellicola, sono incominciate con il super8 del giocoso lungometraggio del 1974 Album 1, sonorizzato dal vivo dalle improvvisazioni musicali di Cecilia Stacchiotti e accompagnato da un reading a più voci, compresa quella dello stesso Lehman. Si tratta di un film giovanile, di dichiarata influenza mekasiana, in cui però già si evidenzia una dei temi più ricorrenti della poetica lehmaniana: la famiglia allargata, intesa come comunità di amici e conoscenti, che compaiono e ricompaiono, a distanza di tempo, nei film del regista. Qui, nelle prime immagini, si può riconoscere Chantal Akerman, di cui Lehman è stato anche fotografo di scena sul set di Jeanne Dielman.
È un modo di fare cinema che prescinde dalle rigide differenze teoriche tra realtà e finzione, anzi privilegia nelle scene di fiction attori non professionisti, sconosciuti, ma più spesso persone che fanno parte della cerchia di Lehman. In questo caso, 150 partecipanti (molti dei quali appartenenti al Club Antonin Artaud, un laboratorio di teatro e cinema per pazienti psichiatrici), che filmano Lehman e si fanno filmare da lui, con cineprese diverse, in momenti quotidiani scherzosi, a Bruxelles e dintorni, come in un film di famiglia amatoriale girato da un professionista.
Questo legame fortissimo che Lehman manifesta nei confronti di tutte le persone che hanno lasciato un segno nella sua vita è lo spunto per il corto del 2010 Choses qui me rattachent aux êtres, in cui, nel suo appartamento, Lehman elenca e mostra alla cinepresa 16mm numerosissimi oggetti, ciascuno con il suo complemento di appartenenza, conservati come testimonianza di un'identità personale pervicacemente costruita su incontri e rapporti sociali: “Sono la somma di tutto ciò che ho ricevuto dagli altri”.
Una dozzina di questi “altri” è convocata nel 1995 per recitare il ruolo degli apostoli in La dernière (s)cène ou l'évangile selon Saint-Boris. Il corto è ambientato davanti all'ultimo atelier d'artista a resistere all'espropriazione, nella strada di Ixelles spazzata via dalle ruspe, per far posto alla nuova sede del Parlamento europeo. Lehman, ovviamente, è Gesù, mentre i dialoghi e la lavanda dei piedi sono tratti dal Vangelo di S.Giovanni. Alla fine, la tavola è vuota, il palazzo alle spalle viene abbattuto. Leggiamo una didascalia su fondo nero: “Dove sono i traditori?”. Considerando che il film è stato girato senza autorizzazione, il ringraziamento alla Comunità europea nei titoli di coda è un guizzo d'ironia raffinata.
Ironia che non manca in Muet comme une carpe, il mediometraggio del 1987 dedicato alla dettagliata preparazione e al consumo della carpa farcita alla polacca (in yiddish Gefilte Fish), piatto tradizionale ebraico di ogni Shabbat. Il film inizia come una parodia macabra dei tutorial culinari, con l'inquadratura del braccio di una reduce dei campi di concentramento (il numero di matricola tatuato è in vista) che taglia a pezzi una carpa viva, in una vasca da bagno. Nella seconda parte, il film diventa un viaggio nella memoria. Lehman ricorda i noiosi capodanni da bambino, con tanto di cerimonie religiose, e li rimette in scena, con amici nel ruolo dei famigliari, che si siedono a tavola, mangiano e ridono, in primi piani grotteschi al ralenti, in contrasto con la musica di archi in sottofondo. Anche qui, le sedie, infine, rimangono vuote, mentre si continuano a udire le voci fantasma dei commensali.
In À la recherche du lieu de ma naissance, lungometraggio del 1990, la via crucis a ritroso (come quella dell'ebreo errante che s'inabissa nel lago, nel finale) nel proprio vissuto arriva fino al momento della nascita di Lehman, avvenuta a Losanna il 3 marzo 1944. Boris si reca all'anagrafe di Losanna per ottenere un certificato di nascita. È il pretesto per una sorta di re-enactment libero e menzognero, con attori non professionisti, sempre diversi, di attimi dell'infanzia di Lehman, in particolare i momenti felici e teneri con la madre Berta, convitato di pietra del film. Ma è anche un film sulla felicità di essere svizzeri sotto Hitler, sul lago Lemano come specchio-utero-bocca, sull'impossibilità di scoprire tutto sulle proprie origini, di essere presente alla propria nascita, e a se stesso, malgrado il vero parto e la vera circoncisione filmati dal vivo da Lehman.
La summa di questa incessante ricerca di se stesso sono le tre ore e mezza di Histoire de ma vie racontée par mes photographies, del 2001. Lehman, homo photographicus dalla pelle di pellicola, mostra ad amiche e amici alcune foto, tra le migliaia che ha scattato e raccolto negli anni. Le fotografie vengono lasciate spesso fuori campo: è la reazione di chi le guarda che conta, non il soggetto. Conta il ritmo della visione, il tempo necessario a riconoscere e riconoscersi. L'istante eterno della vita che precede il rogo dell'immagine.