Come ha ricordato Ehsan Khoshbakht, si potrebbe quasi azzardare a definire Anatomia di un omicidio di Otto Preminger un film sul linguaggio. Un film sul linguaggio legale, giacché seguiamo appassionatamente la lotta oratoria tra Paul Biegler (James Stewart) e la pubblica accusa (della quale fa parte il perentorio procuratore interpretato da George C. Scott). Un film su un linguaggio “scabroso” e ostile all’America puritana, che fa fatica a considerare accettabili parole come “spermatogenesi” e “stupro” all’interno di un film quanto all’interno di un’aula giudiziaria, così come fa fatica a considerare il punto di vista di una donna che ha subito — e continua a subire — violenza fisica e psicologica per il suo sentirsi slegata da codici morali e sociali. Ma è anche un film sul linguaggio non verbale, laddove gli sguardi tra avvocati e imputati, giudice e giuria, marito e moglie esibiscono ciò che le parole astutamente celano.
A nord dello Stato del Michigan, l’avvocato Paul Biegler — il cui approccio alla legge è jazz quanto la colonna sonora del film firmata da Duke Ellington — è chiamato a difendere il tenente Frederick Manion (Ben Gazzarra) dall’accusa di omicidio ai danni del (presunto) violentatore della moglie, interpretata da una prorompente Lee Remick. Tratto dall’omonimo romanzo di Robert Traver (pseudonimo dell’ex pubblico ministero John D. Voelker), Anatomia di un omicidio decide di basarsi su un autentico fatto di cronaca, al punto dall’inseguire maniacalmente un realismo senza precedenti nella storia del giallo giudiziario cinematografico. Non solo il film viene girato nei luoghi in cui si erano svolti i fatti, ma Preminger arriva anche a coinvolgere il giudice Joseph N. Welch — già celebre per aver zittito il senatore McCarthy — nel suo primo e unico ruolo da attore.
Quel che rende Anatomia di un omicidio un capolavoro da svariati punti di vista è una gestione esemplare dello spazio attoriale. Ogni personaggio è rilevante nel costruire i dubbi che risuonano nell’aula di tribunale, la location principale del film. I gesti e gli sguardi si ripropongono ossessivi nelle riprese in sequenza di Preminger, lasciando sempre al centro il dialogo, senza cali di attenzione, e permettendo allo spettatore di dubitare e diffidare di ogni singolo aspetto esibito. Quello del tribunale è un universo feroce, un mondo in cui nessuno è davvero innocente e in cui ogni arma difensiva può essere trasformata in offensiva, in un gioco perverso che mira al controllo della scena e alla manipolazione del verdetto. Perché anche lo spirito di provincia dell’avvocato Biegler — un James Stewart che solo a tratti rimanda al candore rustico di quel Mr. Smith che andò a Washington nell’opera di Frank Capra — palesa le infinite ambiguità morali e civili del sistema giudiziario americano. Ma ci è pur sempre “scappato” il morto e in tribunale si gioca sulla pelle di un uomo e di una donna le cui caratteristiche psicologiche vengono mortificate e messe alla berlina senza possibilità di appello.
“Dodici persone chiuse in una stanza. Dodici cuori diversi, dodici cervelli. Dodici modi diversi di vivere. Dodici modi diversi di vedere, di sentire di pensare. E queste dodici persone devono giudicare un uomo tanto diverso da ognuno di loro, come ognuno di loro è diverso dagli altri. Però il loro giudizio dev’essere unico, unanime. È un miracolo della mente disordinata dell’uomo che possano riuscirci.” Le parole di Parnell McCarthy (la vecchia spalla di Biegler, interpretata da Arthur O’Connell) sembrano zincare la bara che contiene le possibilità dello spettatore di avvicinarsi alla verità. In nome del realismo, tutti i personaggi di Preminger mentono. Ma non come in Rashomon di Kurosawa, in cui ogni testimone mentiva nell’intento di preservare il proprio onore e i propri interessi: in Anatomia di un omicidio si mente perché è il sistema stesso a richiederlo.
A vincere (e a pagare) non sono i fatti, ma esclusivamente le intenzioni. Nella società rappresentata da Preminger, il cui cinema denso di tabù ha sempre sfidato apertamente la censura, l’essere umano, per quanto si sforzi, non riesce a reclamare comprensione con i propri mezzi. E nell’elemosinare una piccola porzione di spazio all’interno di un’America che non può, per sua stessa natura, apparire a misura d’uomo, non gli resta che far parte a testa bassa dell’ingranaggio della cosiddetta società civile, tragicamente impietosa.