Anna Bolena è una donna che bene o male è entrata nell’immaginario di tutti, sia per essere, in parte, responsabile dello scisma anglicano sia per la sua tragica fine. Nel 1920 Ernst Lubitsch decide di dedicarsi a un dramma in costume a lei dedicato lasciando da parte le commedie che lo avevano reso celebre. Inutile dire che dei momenti comici sono comunque presenti nel film, in particolare legati alla figura di Enrico VIII, interpretato da uno splendido Emil Jannings. Il suo personaggio è, infatti, molto caricaturale e, in alcuni frangenti, riesce a strappare qualche risata. In questa versione romanzata, troviamo una Anna Bolena (Henny Porten) che lotta tra il desiderio di ottenere la corona inglese e il suo amore per Sir Norris. La storia la conosciamo, Anna sceglierà il regno ma alla fine, non avendo dato i natali a un figlio maschio, perderà i favori del Re e, infine, anche la testa.

Personalmente ho trovato impossibile empatizzare con questa Anna Bolena perché rappresenta un ideale di donna retrogrado e maschilista. Anna è una marionetta nelle mani degli uomini (in particolare dello zio e del Re), non riesce ad imporre la propria volontà e gioisce solo quando realizza di essere la Regina d’Inghilterra. Tra le sue virtù si tende sempre ad enfatizzare la castità, la fedeltà al marito e l’attenzione per la figlia. Infine, seppur non esplicitato, c’è sempre quell’elemento indigesto dell’amore scoppiato dopo aver consumato il primo rapporto anche se avuto con un partner non voluto. A questo si aggiunge l’interpretazione molto classica e impostata della Porten che mette in scena un personaggio che estremizza ogni emozione con la propria mimica e gestualità.

Non mancano però degli aspetti positivi, primo tra tutti quello della gestione delle scene di massa che includevano più di 4000 comparse. Le più impressionanti sono quelle in cui il popolo assiste alla cerimonia di nozze tra Anna ed Enrico VIII con relative sommosse sedate dall’esercito schierato. Scene così maestose e ben realizzate sono rare nella storia del cinema, specie se realizzate utilizzando una telecamera fissa. Le scenografie, così come i costumi, sono curate nel dettaglio e rispecchiano perfettamente quello che ci aspetteremmo da una corte del 1500.

Insomma, tra alti e bassi quantomeno Anna Boleyn di Lubitsch ha il merito di non lasciare indifferenti.