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“L’albero” leopardiano con voglia di vivere
Sara Petraglia adotta un’estetica minimalista, con primi piani che valorizzano l’ottima prova attoriale di entrambe le attrici, a cui si riconosce il merito della buona riuscita del film, dirigendo un film intenso che spinge sull’indagine psicologica del femminile, un ritratto generazionale che diventa leopardianamente malinconico e riesce a equilibrare con maestria la pulsione all’annientamento e la voglia di vivere che alla fine prevale.
“U.S. Palmese” e la fierezza del cinema provinciale
Probabilmente qualche decennio fa anche questo sarebbe stato considerato un film popolare, ma il fascino verso operazioni del genere è ormai appannaggio di quei pochi superstiti che visitano le sale nelle rare occasioni in cui debuttano pellicole come U.S. Palmese. Ci sentiamo di dire che i Manetti fanno cinema provinciale, nell’accezione più onorevole che possa esserci. Sono fuori dal tempo, indifferenti dinanzi al suo scorrere e fieri di abbracciare questa dannata tradizione.
“La città proibita” speciale II – L’Italia multietnica di Mainetti
L’azione è girata con grande maestria, curata nei minimi dettagli, indice di un notevole gusto per lo spettacolo cinematografico e di una capacità di affrontare il genere con rigore, un approccio più comune alla serialità italiana contemporanea, piuttosto che alla sua controparte cinematografica. E infatti non stupisce che a firmare la sceneggiatura con lo stesso Mainetti ci siano Davide Serino e Stefano Bises, due tra gli autori più interessanti nella produzione seriale italiana degli ultimi anni.
“La città proibita” speciale I – Il cinema fusion
L’attenzione al contesto e la descrizione di una Roma “fusion” sono poi gli elementi più interessanti de La città proibita, e costituiscono il punto di forza della pellicola. Il regista ha la capacità di raccontare la città più inflazionata e rappresentata del cinema italiano in maniera inaspettatamente interessante e questo gli va riconosciuto. Purtroppo però, il tutto risulta poco organico nel mescolarsi con le dinamiche tipiche del cinema d’arti marziali, andando a minare concettualmente il senso di unione, di fusione appunto, che è alla base del film.
“Il nibbio” tra azione e inchiesta
Indubbiamente, il regista Alessandro Tonda guarda anche al film d’azione che, come ha dimostrato con il suo debutto The Shift (2020), sa dirigere con la giusta attenzione al ritmo e alle sequenze più spettacolari. Un modello per Il nibbio è quindi la spy-story con girandola di location internazionali dove si alternano palazzi del potere e di sorveglianza globale e sporchi retrobottega in cui passano armi ed informazioni, resort di lusso e quartieri polverosi, catturati con la consueta tonalità seppia.
“L’orto americano” e le oscure conseguenze dell’amore
Sospeso tra due mondi (dopo la trasferta oltreoceano con Il nascondiglio) come altri recenti film stranieri, avulso tuttavia da un’acuta disamina del contesto postbellico, L’orto americano persegue il regime filmico di uno sguardo alienato e dissociato, a cui si nega il controcampo del dettaglio osservato, in una rivelazione sempre differita o delegata, nel fuori campo della morte che attrae e atterrisce, in una distanza siderale tra il reale e il vero, che si riduce solo in quella malsana purezza di visione che è la follia negli occhi dell’altro.
“Diciannove” apoteosi del narcisismo
Seppur sia evidente la capacità del giovane cineasta nel restituire l’aspetto tattile, olfattivo, quindi sensoriale della realtà (come il miglior Guadagnino) attraverso un utilizzo molto concreto degli spazi, dei luoghi, degli oggetti con cui il protagonista si relaziona, il tutto risulta stilisticamente pomposo, ma del resto appropriato alla personalità di Leonardo, alter ego del regista.
“FolleMente” e i linguaggi della relazione romantica
Con FolleMente, il regista propone una sceneggiatura a più mani, un esercizio di scrittura aggregata con Francesco Piccolo, Paolo Costella, Isabella Aguilar e Flaminia Gressi che portano in superficie le dinamiche comportamentali, dibattute dai pensieri che affollano la nostra mente durante il primo appuntamento. Se poi quelle emozioni sono impersonate da un cast che riunisce alcuni tra i grandi nomi della scena italiana, la sceneggiatura non può che attecchire comodamente nel terreno della commedia romantica.
“Tornando a Est” all’avventura con guida turistica
Lo spontaneo provincialismo che faceva di Pago, Rice e Bibi dei Candide volteriani alla ricerca di sé (in Est) attraverso un viaggio in un territorio straniero che rendeva estranei loro stessi, in Tornando a Est li rende l’esempio perfetto dei “pataca” romagnoli: sciocchi e immaturi bamboccioni un po’ cialtroni alla ricerca di avventure perché insoddisfatti delle proprie vite. A redimerli, solo in parte, quella trita retorica da italiani brava gente che li porta a prendere a cuore alcune situazioni.
“Diva Futura” e la favola di un porno che non esiste più
Il film circumnaviga gran parte delle domande che potrebbero sorgere, preferendo concentrarsi sul racconto di una favola tutto sommato scanzonata e dolceamara di un uomo che sognava troppo in grande per il Paese in cui viveva. Ripensando a Supersex (la serie su Rocco Siffredi uscita su Netflix) viene da chiedersi se il 2024 sia l’anno in cui l’Italia cerca di fare pubblicamente pace con il porno
“Ciao bambino” lontano dal folklore
Se Napoli è spesso rappresentata cinematograficamente come uno spazio urbano rumoroso, affollato e ininterrotto, casermone dopo casermone, su cui mettere le mani, Ciao bambino, coerentemente con il suo progetto di decostruire il folklore della malavita, ci mostra invece sorprendentemente i silenzi e gli spazi vuoti, come l’enorme piazzale dove Anastasia viene fatta prostituire.
“Luce” del cinema tra realtà e finzione
C’è un’immediatezza comunicativa e visiva in grado di sollevare un sentimento di umanità empatica nei confronti di coloro che tentano di approfondire la propria esistenza al di fuori delle mura della fabbrica. In Luce la responsabilità di questa missione è affidata alla sola voce del padre che, nel suo oscillare tra vero e falso, tra realtà e immaginazione, restituisce alla protagonista quel ruolo di figlia protetta, sgridata e amata che non ha mai interpretato.
“L’abbaglio” del popolo italiano
L’intento del regista ricorda intellettualmente quello compiuto nel saggio Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) di Giacomo Leopardi, dove il filosofo tratteggia – senza troppo delicatezza – il carattere opportunista che contraddistingue l’allora inesistente popolo italiano. Nel film, questo disvelamento viene filtrato in maniera edulcorata proprio dal nucleo comico che si costituisce in Domenico e Rosario.
“Il corpo” e il vortice del dubbio
Tra le ipotizzanti congetture e gli indizi sparpagliati che si raccolgono compiutamente alla fine (come in ogni buon thriller) il meccanismo formale vincente della storia è la tecnica narrativa conosciuta come aringa rossa. Quest’ultima può essere ascritta come un depistaggio cinematografico che induce a costruire una specifica versione della storia e accreditarla come veritiera per far perdere l’orientamento allo spettatore e coglierlo del tutto impreparato sul gran finale.
“Le déluge” e l’altra faccia della Storia
Si tratta di una discesa demoniaca raffigurata attraverso il codice espressivo dello spazio, che racchiude in sé la deposizione del potere monarchico e la svestizione simbolica del re e della regina in comuni cittadini che si aggrappano alla speranza di essere assolti nel processo che li dichiarerà poi colpevoli contro la sicurezza generale dello Stato. L’elemento formale che crea l’autentica rivoluzione del film è il ribaltamento di prospettiva, l’altra faccia della medaglia che ricorda alla Storia di includere tutti i punti di vista, non soltanto quello dei vincitori.
“Napoli-New York” fiaba semplice con pennellate di critica sociale
Tolta l’insistita critica al classismo, il tono complessivo dell’opera è fiabesco e positivo, spesso divertente, dickensiano con ben dosati climax di amarezza e tragedia. Ottime anche le interpretazioni dei giovanissimi protagonisti, Dea Lanzaro e Antonio Guerra, la prima nei panni di una bambina sensibile quanto agguerrita, il secondo in quelli di un irresistibile furbetto, un orgoglioso e cocciuto maestro nell’arte di arrangiarsi.
“Eterno visionario” biopic consapevole e rassegnato
Tutto si fonde e si confonde, il teatro e il cinema si specchiano e si riflettono specularmente, vestendo l’uno i panni dell’altro, nel tentativo di indagare la vita e il significato insondabile della sua stessa rappresentazione. La cinepresa inerme non può far altro che seguire fedele quei personaggi instabili e scandalosi per gli anni, dalla prima assoluta de I sei personaggi in cerca d’autore al teatro Valle di Roma nel 1921 a Nostra Dea dell’amico Massimo Bontempelli, messa in scena dalla compagnia del Maestro al teatro Odescalchi nel 1925.
“La cosa migliore” e il giudizio sospeso
La macchina da presa di Federico Ferrone segue con sicuro piglio documentaristico i personaggi di La cosa migliore attraverso gli spazi del nostro Nord-Est post-industriale, freddi e sovrastanti nella loro monumentalità. Parcheggi e bar dove si cercano forme di creatività e di aggregazione, casermoni geometrici dove la vita famigliare non ha spazi di riservatezza per elaborare perdite o sentimenti di intimità, fabbriche senza più una catena di montaggio ma comunque alienanti e sempre organizzate secondo un’ottica di caporalato e nonnismo.
“Terra incognita” e i confini tra natura e industria
Terra incognita compie una complessa ricerca iconografica, fatta di accostamenti di paesaggi naturali e industriali, apparentemente opposti, che tuttavia contengono, al loro interno, continui rimandi all’altra realtà, non solo nel carattere monumentale delle Alpi e della costruzione della centrale, ma anche in dettagli apparentemente minori, come le immagini di porte, antri e tunnel che contraddistinguono sia la natura che l’impianto nucleare.
“Berlinguer – La grande ambizione” e la magnifica affabulazione
Il Berlinguer di Segre è uomo di ascolto e di parola. In un paese in cui si cominciano a manifestare le idee a voce alta e per slogan (negli ormai prossimi anni ’80 il marketing verbale sarà l’incipiente virus che contaminerà il linguaggio “governativo”) il leader del PCI, imperterrito, continua a scrivere (le ultime sequenze della pellicola lo mostrano mentre legge un’intima lettera all’amata moglie) e declamare meditate dissertazioni, semplici e di toccante profondità per empatia e capacità di osservazione.