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“Parthenope” speciale II – Un cinema sfiduciato e pigro

Passano gli anni e con gli anni non passa, dopo ogni nuovo film di Sorrentino, l’impressione di un equivoco, scomodo e duraturo. Nonostante le dichiarazioni d’amore e le reiterate professioni di fede – dalle frasi testamentarie del regista interpretato da Harvey Keitel in Youth all’aforisma sul cinema che non serve a niente ma almeno distrae dalla realtà, perché “la realtà è scadente”, attribuito a Fellini in È stata la mano di Dio – quello di Sorrentino si è rivelato man mano un cinema sempre più sfiduciato e a volte, diciamolo pure, ingiustificatamente pigro.

“Parthenope” speciale I – L’opera-leviatano tra Napoli e il mondo

Se È stata la mano di Dio (2021) offriva allo spettatore una Napoli “vissuta da dentro”, filtrata dalla lente autobiografica alla maniera del suo nume Fellini, Parthenope torna sugli stessi temi con uno sguardo diverso, meno intimo ed estremamente più ambizioso. L’impressione è che stavolta Sorrentino miri (quasi melvillianamente) a scrivere il Grande romanzo della città, l’opera-leviatano in grado di esaurire un argomento contenendo in sé tutto il mondo, o almeno quel “mondo” che è Napoli.

“È stata la mano di Dio” tra Napoli e Fellini

È stata la mano di Dio risulta un racconto di formazione completo, ricco di sfumature che virano dalle piccole gioie di un contesto familiare imperfetto ma amorevole allo strazio dell’abbandono, dall’attrazione erotica verso la sorella della madre alla gelida apatia che aleggia sulle macerie di una vita distrutta improvvisamente. Non solo una coerente ricostruzione di accadimenti personali, ma specialmente la loro sublimazione in linguaggio filmico denso e stratificato. Ecco dunque il richiamo a Fellini, autore che come pochi altri ha osato denudarsi attraverso il suo cinema. Un atteggiamento che Sorrentino ha talvolta lasciato intravedere, senza però trovare mai il coraggio di mostrarsi fino in fondo e celando troppo spesso la sua anima dietro l’orpello del virtuosismo tecnico.

“È stata la mano di Dio” e il cinema come seduta spiritica

È stata la mano di Dio è la dichiarazione di fiducia più commovente sul potere del cinema come seduta spiritica e magica illusione, luogo delle ombre che si rifanno materia. D’altronde, se non è “solo un trucco” come le giraffe, potrebbe essere tutto un gioco, dagli scherzi telefonici alle arance in aria fino al mascheramento dell’orso, con la voce di Fellini a regolare il battito di un cuore squarciato dalle parole furibonde di un altro maestro, Antonio Capuano, che sul ciglio del mare che bagna Napoli mette in guardia sulla trappola della speranza.

“È stata la mano di Dio” e il pudore di Sorrentino

Con È stata la mano di Dio, Sorrentino riesce a sventare i pericoli che all’annuncio del film potevano sembrare porsi di fronte al progetto (ovvero che il suo cinema si mangiasse l’autobiografia in un eccesso di autoreferenzialità o viceversa in una perdita di autorialità). Restituendo così un affresco compiuto che riesce a trovare un preciso punto di incontro tra il suo cinema e la sua storia personale. Intimo, ma mai patetico, mai facilmente drammatico. Non solo per scelta quanto anche unicamente per pudore, fragilità. E questo è il delicato tocco umano di Sorrentino che a ogni picco emotivo smorza, devia e cambia direzione con un incredibile rispetto nei confronti di sé, della sua storia, quanto del suo pubblico.

“Loro” è un film su Berlusconi o su Sorrentino?

Loro è una commedia. Grottesca, qua e là melodrammatica, spesso scollacciata. Con un occhio alle pagine di Chi (l’house organ, erede editoriale di una rivista che si chiamava Noi…) e un altro al cinepanettone, l’universo che più ha interiorizzato il berlusconismo e che, guarda caso, decade nel 2011, l’anno delle dimissioni. Specialmente in Loro 1, attraverso Veronica sembra addirittura vagheggiare una “commedia del ri-matrimonio”, con il cagnolino catapultato da L’orribile verità ma schierato dalla parte del seduttore, come i tanti ammiratori mai furbi quanto il capo e destinati a non poter essere mai come il divo. Se volessimo seguire lo schema di quel filone, potremmo individuare le tappe che mettono alla prova l’amore dei coniugi. Eppure pare essere l’ennesimo depistaggio di un film sfuggente e disorientante, che peraltro tra la prima e la seconda parte compie un dirompente slittamento narrativo.

“Todo modo”: Petri, Sorrentino e altre storie

Ancora qualche giorno di prima visione per il restauro di Todo modo. Abbiamo chiesto, come di consueto, a due collaboratori di Cinefilia Ritrovata di rivedere il film e leggerlo a modo loro.