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“La ragazza in vetrina” al Cinema Ritrovato 2018

Non bisogna essere timidi di fronte ad un film sfortunato e martoriato come La ragazza in vetrina. E quindi diciamolo, senza paura né vergogna: è un capolavoro incredibile, abbacinante, assoluto. E ancora: è un delitto che la carriera cinematografica di Luciano Emmer si sia interrotta dopo questo film, per riprendere un trentennio dopo. Quintessenza di una modernità coraggiosa e consapevole, gemma nascosta nel fenomenale primo lustro degli anni Sessanta italiani, l’ottavo lungometraggio del regista milanese torna allo splendore grazie ad un restauro che ha l’ulteriore merito di recuperare alcune scene tagliate dalla censura. La ragazza in vetrina, infatti, presentava due questioni del tutto indigeste al potere democristiano ed è difficile credere che a Emmer non fosse chiara una situazione così spericolata.

Il richiamo alla dimensione agreste attraverso i colori in “Giorni d’amore”

In Giorni d’amore di Giuseppe De Santis, primo film a colori del regista e della coppia Marcello Mastroianni e Marina Vlady, nonché fiaba romantica ambientata in una cornice bucolica, i colori possiedono una dimensione fortemente simbolica. A risaltare sono innanzitutto il verde e il rosso, di cui si tingono di frequente gli abiti dei protagonisti: è verde la camicia di Pasquale (Marcello Mastroianni), così come lo scialle indossato da Angela (una giovanissima Marina Vlady), o l’abito rosso della bella contadina ciociara in cui compaiono decori nuovamente verdi. Il rosso vivace dei pomodori appesi un po’ dappertutto sulle case o dei peperoncini scaramantici, tipici della cultura dell’Italia contadina e meridionale, è lo stesso del nastrino che intreccia i capelli biondi della Vlady o le fasce al collo dei contadini.

“Giorni d’amore” fiammeggiante miniatura

Non è difficile trovare, nel cinema italiano degli anni Cinquanta, tra produzioni picaresche ed inaspettati prestiti dall’estero, scelte di casting particolarmente ardite che spesso funzionano proprio in virtù della loro assurdità. Al contempo non sono rare neppure certe fortunate deviazioni: è il caso di Giorni d’amore, che in un primo momento prevedeva come protagonisti Gérard Philipe e Silvana Mangano. Se si stenta a credere allo sfortunato ed elegante divo francese nel ruolo di un contadino ciociaro, occorreva altresì un grande sforzo per accettare la splendida star di Anna come vispa campagnola poco più che adolescente. La storia è andata diversamente e non si riesce ad immaginare una coppia diversa da quella formata da Marcello Mastroianni (accreditato Mastrojanni) e Marina Vlady, credibili nonostante i quattordici anni di differenza.

Due o tre cose che so di lei: dialogo con Marina Vlady al Cinema Ritrovato 2018

Tra un Godard perduto e ritrovato – e alla fine rifiutato – e la fascinazione esercitata da Marlon Brando sulla piccola Vlady, ci si domanda come possano essere stati possibili tutti questi amori, ma la risposta dell’attrice è magnetica, unica, squisitamente francese: “C’est la vie”. Leggera e disinibita, la divoratrice Ape regina fa inoltre parte di quel manipolo di attrici che nel 1971 firmarono un manifesto a favore dell’aborto: artista, scrittrice e inamovibile femminista, Marina Vlady, improvvisando negli sguardi, nelle risate e nel pianto, ha recitato la gioventù, la grazia e l’ambiguità, affermandosi come una delle più iconiche e seducenti personalità artistiche del panorama internazionale, dagli anni ’50 ad oggi.

“La ragazza in vetrina” e la censura. Aspettando il Cinema Ritrovato

Oltre ai brutali tagli della censura che hanno alterato la trama de La ragazza in vetrina, come quel “no kiss” pronunciato dalla prostituta ed eliminato snaturando il significato del finale del film, il direttore dello spettacolo presso il ministero propone a Emmer venti milioni (di allora) per rigirare una scena: “Suggeriva di lasciare apparire Marina Vlady completamente nuda e forse di mostrare l’amplesso al posto della castissima scena da me girata. A condizione che dopo l’amplesso lei scorgesse su un giornale la fotografia del giovane minatore, con la notizia che era rimasto sepolto nella miniera per tre giorni resistendo alla disperazione (…) la ragazza allora doveva mettersi a piangere, dicendo ad alta voce ‘Tu sei stato un eroe io sono una miserabile prostituta’. Per la chiesa cattolica il peccato della carne è il più venale – quello che conta e non si può infrangere è l’ipocrita moralismo”.