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“Radiazioni BX: distruzione uomo” di Jack Arnold a Venezia Classici 2019
Radiazioni BX: distruzione uomo è spesso considerato l’esempio più ragguardevole di quell’esistenzialismo fantascientifico anni Cinquanta che si esplica nell’estraniamento della dimensione del quotidiano e del domestico. Più ancora di L’invasione degli Ultracorpi (Don Siegel, 1956), da cui lo distingue l’assenza di infiltrati e piani di conquista, fattori scatenanti ancora isolabili per quanto profondamente innestati nell’ordine sociale, è infatti questo il film che traccia una linea diretta fra il malessere del protagonista e la sua quotidianità, fra i disagi e pericoli che affronta e la conformazione – in sé immutabile eppure progressivamente sempre più inquietante – dell’ambiente domestico. Impercettibilmente, il film scivola dalla perdita di contatto col mondo conosciuto (ma anche grigio, scontato, qualunque) della prima parte, a quella che potremmo definire la “redenzione avventurosa” di quel mondo nella seconda, che ancora proprio nella casa, fra i suoi oggetti quotidiani restituiti a una dimensione di scoperta e applicazione di pensiero, ambienta un vero e proprio percorso di riappropriazione dell’humanitas, culminante in un finale del pari scientista e misticheggiante in cui Carey, riconosciuta come l’uomo del Rinascimento la vicinanza fra l’incommensurabilmente grande e l’incommensurabilmente piccolo, ed avendo concluso con Protagora che “la mente umana è misura di tutte le cose”, si annulla in un atto di pacifico mutuo riconoscimento, fondendosi letteralmente con l’universo.
“La vendetta del mostro 3D” di Jack Arnold al Cinema Ritrovato 2018
Stando alla teoria secondo cui gli horror devono il loro successo alla capacità di incarnare angosce serpeggianti per il tessuto sociale, il Gill Man di Arnold si candida come vero e proprio embodiment della sessualità istintuale: creatura selvaggia e aggressiva, capace di comunicare solo mediante versi e grugniti, si invaghisce puntualmente di giovani donne che finisce per rapire. Se nel primo capitolo gli occhi del mostro erano tutti per la bruna Julie Adams, La vendetta del mostro sembra invece innvervato di una vera e propria ossessione per le bionde, che ricorrono dalle prime battute sino dell’entrata in scena di Lori Nelson, ittologa platinata con una somiglianza incredibile a Sandra Dee. Questa volta toccherà ad un uomo di scienza, il Clete Ferguson interpretato da John Agar, difendere la donna dalle avance della creatura e, indirettamente, da quelle dei suoi simili: doppio complementare del mostro è infatti Joe Hayes, l’uomo ha catturato il Gill Man e lo tiene in custodia.
I mostri della Universal: il diverso nell’horror
Il binomio “mostro = diverso” si ripercuote anche sulla tarda filmografia orrorifica della Universal, toccando quello che è considerato il suo ultimo grande mostro, Gill-man (“Uomo branchia”). L’uomo pesce – definito dall’esperto di fantascienza Bill Warren “uno dei mostri più famosi mai creati” – è il protagonista di due pellicole in stereoscopia del veterano Jack Arnold (Il mostro della laguna nera del 1954 e La vendetta del mostro dell’anno seguente) e di una terza (Il terrore sul mondo, 1956) per la regia meno efficace di John Sherwood. La tematica del diverso, che qui reagisce perché vede invaso il suo habitat o viene strappato ad esso, è stata esplicitamente citata da Arnold: “La crudeltà dell’uomo si rivolge contro qualsiasi cosa, soprattutto se diversa da sé […] ebrei contro arabi, bianchi contro neri. Prima impareremo la lezione meglio staremo. […] Ecco cosa cercavo di dire con i miei film in un modo accettabile per il pubblico”.